mercoledì 22 aprile 2009

Carmelo Lavorino: "PERCHÉ L’IMPIANTO ACCUSATORIO CONTRO RANIERO BUSCO È INCONSISTENTE"

Via Poma: il rischio di un altro processo senza prove. Attenzione alla frenesia dei cold cases.

Siamo alle solite conclusioni all’italiana! Un apparato investigativo dello Stato che ha indagato per conto e su delega del cittadino per individuare l’assassino di Simonetta Cesaroni, spendendo soldoni del contribuente, ora si accinge a chiedere il processo contro Raniero Busco, ritenendolo l’invisibile e spietato assassino di Via Poma, in base a un impianto accusatorio fondato su frammenti e ombre di indizi, su indizi incerti o ambivalenti.

Ancora non ho compreso il metodo logico degli inquirenti, i passaggi logici e consequenziali dei loro ragionamenti, su cosa basino le valutazioni degli elementi che hanno raccolto ed esaminato: so soltanto che non condivido le loro conclusioni e i loro algoritmi mentali e procedurali.
Cosa c’è di concreto contro Raniero Busco? A mio avviso solo congetture, arrampicature sugli specchi e i “soliti sospetti” prodotti da intuizioni (valide e da riscontrare), però restate ipotesi senza riscontri. Ricordo che in uno Stato di diritto i dubbi devono essere affrontati e risolti prima che si concludano le indagini e prima di chiedere che un cittadino venga processato, non dopo.

Invece in Italia si usa il metodo “Prima ho un’intuizione e ti sospetto, ergo costruisco l’impianto accusatorio sulla certezza di averci azzeccato – nel frattempo mi concedo ai media ed ai riflettori della “ribalta investigativa criminale” - ,ergo chiedo il tuo rinvio a giudizio … poi cerco di decriptare le prove contro di te!”. A tal proposito voglio ricordare quanto è accaduto a Pietro Pacciani che prima fu condannato a 14 ergastoli e che poi facemmo assolvere, a Carmine Belli che prima si è fatto 18 mesi di ingiusta detenzione perché accusato dell’omicidio di Serena Mollicone e che facemmo assolvere; a Salvatore Pappalardo padre di “Ciccio” e “Tore”, i due fratellini di Gravina di Puglia, il quale “SENZA OMBRA DI DUBBIO” era il terribile figlicida, purtroppo, sappiamo come è finita! Ricordo anche che Pietrino Vanacore e Federico Valle, accusati dell’uccisione di Simonetta Cesaroni (anch’essi “senza ombra di dubbio”), vennero prosciolti dal Giudice Antonio Cappiello: e ora, da loro, la colata di fango passa a Raniero Busco … senza ombra di dubbi investigativi!

Ho valutato l’impianto accusatorio contro Raniero Busco e spiego al lettore perché ritengo inconsistente il paradigma indiziario contro di lui.

L’inchiesta è partita dalla pressione psicologica del “cold case” da risolvere e dall’intuizione prodotta da un sospetto e mai divenuta “prova concreta” o “forte indizio investigativo”: mi riferisco ai denti accavallati di Raniero Busco che un inquirente, tempo fa, notò in un’intervista televisiva: denti storti che secondo lui potevano essere quelli che avevano lasciato le proprie tracce sul seno di Simonetta Cesaroni. Al che venne presa la decisione di comparare l’impronta sul seno di Simonetta con i denti dell’indagato Busco, senza però che ci fosse la certezza che l’impronta fosse realmente di morso. Però, se Raniero Busco avesse dato un morsetto al seno della sua fidanzata non ci sarebbe stato certamente nulla di strano! I due erano fidanzati e si erano visti la sera prima del delitto e sere prima. I consulenti del PM (pagati coi soldi del contribuente) hanno concluso che l’impronta sul seno può (potrebbe - sì e no) essere effetto di un morso, che vi è una “certa” compatibilità fra i denti di Busco e il segno sulla foto. Il significato è uno solo: vi è l’incertezza assoluta, perché una traccia è “compatibile sì” o “compatibile no”!

Sul reggiseno e sul corpetto della vittima, abbandonati per una quindicina d’anni in un armadietto dell’obitorio, miracolosamente “rinvenuti” e consegnati agli inquirenti, i consulenti tecnici del PM hanno rinvenuto tracce di saliva, il cui DNA può essere quello di Busco. Però non vi è certezza perché i quindici “alleli” del DNA sui due reperti non coincidono tutti, ma solo in numero di otto. Quindi, più che di “non certezza” parlerei di “incompatibilità assoluta”. Per essere più chiari: due Dna in comparazione per essere della stessa persona devono coincidere in tutti e quindici gli “alleli”, non certamente al 55% circa, cioè, 8 alleli su 15 alleli!

Inoltre, il buon senso ci dice che delle trentuno persone di cui gli inquirenti hanno controllato il DNA per verificarne la coincidenza con quello estrapolato dalla saliva sul reggiseno e sul corpetto, l’unico che aveva il diritto e la “possibilità innocente” di avere la propria saliva su detti indumenti era solo Raniero Busco.

Vi sono poi altri aspetti che confutano l’impianto accusatorio, eccoli:
1) l’alibi di Busco non è stato smentito o demolito, anche se un testimone dopo 17 anni cambia versione; l’errore di memoria è ammesso per tutti, immaginiamoci dopo 17 anni;
2) il movente del delitto non di addice a Busco in quanto trattasi d’omicidio d’impeto in seguito a litigio, avvenuto durante un tentativo di punizione sessuale, laddove Simonetta era la persona che prima è stata “languida ed accondiscendente” in una situazione speciale e pericolosa, poi, è divenuta preda di un istinto aggressivo criminale e di rivalsa;
3) l’assassino è un soggetto territoriale di Via Poma e degli uffici dove lavorava Simonetta, Busco non lo era; l’assassino ha dimostrato un forte collegamento con l’ufficio dove avvenne il delitto poiché ne tentò una sommaria pulizia; con la chiusura della porta a quattro mandate con le chiavi di Simonetta ha voluto dimostrare che non aveva chiavi proprie, quindi, che non era un territoriale dell’AIAG (abilissima e perfida da messinscena, intelligentissimo depistaggio!); ciò non corrisponde a Busco;
4) la lettura criminologica delle 29 ferite rivelano e riflettono tentativo di deumanizzare la vittima, una fortissima volontà omicidiaria, una terribile punizione agli organi sessuali della ragazza, un totale disprezzo e odio; detto profilo non corrisponde a quello di Busco;
5) Busco non aveva il tempo materiale di effettuare il percorso critico e minimale (in tempi e in comportamenti) per uccidere Simonetta, né prima delle 17,35, né dopo: i tempi, i comportamenti, le opportunità e le possibilità non quadrano;
6) l’assassino si ferì mentre sferrava le 29 pugnalate, invece su Raniero Busco non venne rintracciata alcuna ferita;
7) Raniero Busco non è mancino, mentre l’assassino di Simonetta ha usato la mano sinistra per colpirla al volto, per ferirla, per trafiggerla 29 volte così uccidendola;
8) né i genitori di Simonetta, né la sorella Claudia sapevano che quel giorno Simonetta fosse andata in Via Poma, perché mai avrebbe dovuto saperlo Busco?
9) sulla scena del crimine (intesa come “su oggetti fissi e immobili”) non è stata rinvenuta alcuna traccia di impronta papillare di Busco;
10) sui tempi di spostamento della vittima, sulle sue frequentazioni e sulle caratteristiche a rischio venne indagato in modo non approfondito;
11) l’orario della morte non deve essere necessariamente dopo le 17,35; l’omicidio può essere accaduto prima è, in tal caso, un terzetto infernale ha organizzato il depistaggio strumentalizzando l’ ignara Luigia Berrettini, ed anche in questo scenario Busco resta fuori.

Come si può ben notare contro “il mostro di turno sbattuto in prima pagina” c’è ben poco dal punto di vista investigativo e criminologico, se non sospetti e intuizioni, però privi di riscontri e di prove certe.
Voglio vedere a) come fanno a processarlo, b) come fanno a condannarlo.

Roma, 22 Aprile 2009 Carmelo Lavorino
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