venerdì 16 dicembre 2011

Carmelo Lavorino: LA CORAGGIOSA RITIRATA DI LUCIO MOLINARO

Nel processo contro Raniero Busco ogni parte processuale e investigativa ha pensato solo al proprio orticello e nessuno ha mai analizzato ed affrontato la vicenda in modo sistemico e globale, con il solo scopo di individuare il vero assassino di Simonetta, a prescindere dagli interessi processuali e d’immagine.

Difatti:
  1. gli inquirenti prima hanno costruito ipotesi in seguito a intuizioni investigative e dopo hanno cercato gli elementi a supporto: Pietrino Vanacore 1990 indagato per l’omicidio; Federico Valle nel 1993 imputato dell’omicidio con Vanacore fiancheggiatore; nel 2009 Raniero Busco imputato dell’omicidio.
  2. le parti civili si sono sempre e comunque accodate alla Procura, evitando di produrre tesi proprie ed autonome. Tre piste della Procura? Tre sovrapposizioni ed accodamenti delle parti civili, Comune di Roma compreso!
  3. la difesa di Busco in primo grado ha dimenticato l’esistenza delle indagini difensive e invece di parlare in “giudicese” ha preferito gridare che “Raniero è un bravo ragazzo”, non ha messo sulla graticola alcuni soggetti, non si è insinuata nel c.d. “INGANNO STRUTTURALE” ;
  4. gli investigatori storici di polizia giudiziaria della vicenda e i loro consulenti hanno pensato solo a proteggere il proprio operato e/o a farsi la guerra per dimostrare che non hanno sbagliato, due per tutte: 1) non venne chiesto l’alibi a Busco perché … altrimenti non avrebbe collaborato (!?): cosa significa questa affermazione? Su cosa avrebbe o non avrebbe collaborato se gli avessero chiesto l’alibi? Mistero. 2) Gli alibi di diverse persone (colleghi della vittima, condomini di via Poma …) sono stati verificati solo superficialmente, mentre gli alibi di altri (familiari di soggetti che avevano colleganza e frequentazione con l’AIAG, l’ufficio dove lavorava Simonetta) non sono stati presi in considerazione.

Fra i citati eroi di Via Poma un pensiero particolare va all’avv. Lucio Molinaro, il “legale storico” della famiglia Cesaroni, avvocato civilista che in questi giorni ha lasciato l’incarico per motivi di età, almeno è questa la versione ufficiale. Però, mi chiedo, perché mai dichiarare al Messaggero “Ho spiegato alla mamma di Simonetta che lasciavo l’incarico dopo aver valutato i prevedibili tempi di durata degli ulteriori gradi del processo ….” visto che il processo d’appello si concluderà prima del giugno 2012? Perché dichiarare al Tempo: “Ho trovato un colpevole, non il colpevole” visto che in primo grado chiese la condanna di Raniero Busco? Perché dichiarare che “Dovevano fare una consulenza tecnica super-partes d’ufficio e non limitarsi a quelle del pubblico ministero e della difesa” visto che lui non ha mai chiesto tale perizia alla Corte?

L’avv. Molinaro ha il merito di avere scoperto ben 15 anni dopo il delitto (!?) che gli indumenti di Simonetta (corpetto di pizzo sangallo (o top), reggiseno e calzini) rinvenuti sulla scena del crimine sopra la vittima erano … lì dove stavano e dove dovevano stare da 15 anni: presso il medico legale che aveva effettuato l’autopsia su Simonetta, in un armadietto dell’obitorio. Altro merito di Molinaro è avere scoperto che Busco conosceva dove lavorava (in via Carlo Poma) sin da prima della morte di Simonetta. Chi lo dice? Soltanto lui, è un suo pio ricordo riesumato 20 anni dopo e che non ha avuto alcun riscontro! Perché non lo esplicitò immediatamente? Anche Alessandro Dumas parlò e scrisse di “20 anni dopo”, ma lì c’entravano i tre moschettieri.

Ebbi il piacere di conoscere Molinaro nel 1993 quando si era accodato alla Procura per le accuse a Federico Valle, quando dai sospetti verso Vanacore era passato a quelli contro la coppia Valle-Vanacore. Gli parlai dell’assassino che aveva usato la mano sinistra, della questione che il sangue sul telefono era di gruppo A e non gruppo 0, del fatto che l’assassino avesse il gruppo A, della grande possibilità che Simonetta fosse stata uccisa prima delle 17, dell’improbabilità del giro di telefonate che Simonetta avesse fatto fra le 17,05 e le 17,35, della questione computer e di tante altre cose. Mi rispose con saccenteria priva di sapienza in investigazione criminale dicendo che solo lui conosceva le carte processuali: i risultati li vediamo e li abbiamo visti!

Poi Molinaro cambiò obiettivo: Busco assassino e Vanacore pulitore, con Vanacore che avrebbe lasciato sulla scena del delitto la propria agendina rossa con la scritta Lavazza. Favole. A proposito, quando a Claudio Cesaroni, per errore, venne consegnata dalla polizia l’agendina di Vanacore, credendo che fosse di Simonetta, e Claudio Cesaroni si accorse dell’errore, perché Molinaro non gli consigliò – dall’alto della sua “sapienza investigativa” – di fotocopiarla e/o documentarla?
Certo, se in 21 anni Molinaro ha contribuito così tanto a risolvere il caso, immaginiamoci cosa avrebbe potuto fare nei prossimi anni: dopo Busco a chi sarebbe toccato? Quali altri reperti “nascosti” sarebbero stati scoperti? Quanti “altri colpevoli ma non il colpevole” avrebbe contribuito a martirizzare a livello giudiziario?

Ricordo che nel 1993 Molinaro dichiarò pubblicamente: “Ben venga il processo a Federico Valle, almeno servirà a chiarire molte cose e molte persone che sanno dovranno parlare”. Poi, nel 2009, dichiarò a Matrix: “Almeno il processo a Raniero Busco servirà a chiarire molte cose e molte persone che sanno dovranno parlare …”.
Poi cosa è accaduto? Molinaro non mette sulla graticola queste misteriose “persone che sanno”, non le chiama nemmeno a testimoniare, anzi, non chiama nessuno a testimoniare, si accoda alla Procura. Alla fine dell’istruttoria dibattimentale chiede la condanna per Busco perché lo ritiene colpevole. In seguito, a Busco condannato e con processo d’appello iniziato Busco è un colpevole ma non è il colpevole.

Penso proprio che l’addio di Molinaro all’incarico sia quella che in gergo viene definita “GLORIOSA RITIRATA STRATEGICA”, cioè, abbandonare il campo prima della disfatta finale: una fuga onorevole e coraggiosa!

di Carmelo Lavorino

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giovedì 15 dicembre 2011

Carmelo Lavorino: Il sangue sulle scarpe

LE SCARPE DI SIMONETTA E LE MACCHIETTE DI SANGUE
di Carmelo Lavorino
Con questo breve saggio intendo dimostrare che: (1) le scarpe di Simonetta sono state posate all’angolo da una persona che le teneva con la mano sinistra, (2) le scarpe le sono state sfilate dall’assassino, (3) le scarpe sono state disposte in tale zona dopo l’uccisione della ragazza, (4) vi è stata opera di pulizia e di rassettamento, (5) se le scarpe fossero analizzate potrebbero ancora “parlare”.

link al saggio (pdf con foto) da www.detcrime.com

sabato 10 dicembre 2011

Carmelo Lavorino: Indagini all'italiana

Il giallo di Garlasco e l'assoluzione di Alberto Stasi dimostrano (ma anche molti altri "gialli") che in Italia le indagini sono assurte ancora a "scienza d'investigazione criminale", che molte volte si cerca "un colpevole" e non "il colpevole", che vi sono pressappochismi, improvvisazioni, innamoramenti della tesi, pregiudizi, primadonnismi e protagonismi.

Io non so se Stasi è innocente o colpevole, certamente è stata la pista privilegiata (se non l'unica) e "infermieri spacciatisi per chirurgi e muratori spacciatisi per ingegneri" si sono improvvisati investigatori criminali di altissimo livello tentando di fare quello che non sanno fare.

Gli errori sul computer di Stasi e del DNA sulla bicicletta li conosciamo, ma è incredibile che dopo quattro anni la Pubblica accusa vada a chiedere quelle perizie che dovevano essere effettuate tramite accertamenti tecnici all'inizio dell'indagine: prima si effettuano tutti i rilievi, gli accertamenti e le analisi sulla/della scena, dei reperti e di laboratorio, contemporaneamente si effettuano sia le attività medico legali e forensi, sia quelle investigative, d'intelligenze e di analisi dei dati info-investigativi, poi si passa ad accusare le persone che restano nel mirino investigativo. Ed è incredibile che si vada ad accusare una persona senza conoscere l'ora, l'arma, il movente e il contesto dell'omicidio.

Se una ragazza è gravemente malata viene affidata alle cure dei medici ed alle loro procedure; se si deve costruire un palazzo intervengono gli ingegneri; gli aerei sono pilotati dagli specialisti addestratissimi ad avere la responsabilità di centinaia di persone ... e così via ...: invece, quando c'è un omicidio, le indagini e la scelta dell'imputato prima, e la conduzione dell'impianto accusatorio dopo, vengono espletati da chi, con cosa, su quali criteri e metodi?

Gli Inquirenti sono stati delegati dal Popolo italiano, dallo Stato e dalla Legge a individuare i veri colpevoli, non ad elaborare impianti accusatori costruendo colpevoli in laboratorio, in ossequio agli innamoramenti della tesi.

Sarebbe il caso che gli avvocati difensori delle persone offese e dei familiari delle vittime, si attivino per elaborare strategie e linee autonome e originali, smettendola di accodarsi agli Inquirenti.

Carmelo Lavorino

mercoledì 7 dicembre 2011

Raffaella Fanelli: "Il mistero delle scarpe insanguinate"

Avranno novanta giorni di tempo i consulenti nominati dalla Corte d’assise d’Appello per fare chiarezza sulla morte di Simonetta Cesaroni, avvenuta il 7 agosto del 1990 negli uffici dell’Aiag in via Poma. Per questo omicidio in primo grado è stato condannato a 24 anni di reclusione Raniero Busco, ex fidanzato di Simonetta.
La perizia verrà effettuata da Corrado Cipolla D’Abruzzo, docente di medicina legale presso l’Università di Chieti, Carlo Previderè, ricercatore presso l’istituto di medicina legale dell’Università di Pavia e Paolo Fattorini, direttore della scuola di specializzazione di medicina legale presso l’Università di Trieste. L’esito degli accertamenti sarà esaminato nella prossima udienza fissata per il 27 marzo.

Che fine hanno fatto le scarpe di Simonetta?

Saranno rimessi in discussione l’orario della morte di Simonetta Cesaroni, le cause e i mezzi che l’hanno provocata, la natura delle lesioni presenti sul seno sinistro (il presunto morso), nonché le modalità di conservazione dei reperti utilizzati per le analisi, quindi il reggiseno e il corpetto di Simonetta Cesaroni. Non le scarpe. Che fine hanno fatto le scarpe di Simonetta? Nella relazione di servizio dell’8 agosto 1990 vengono descritte “accuratamente affiancate e con le punte rivolte verso la parete”.

Durante il processo di primo grado, nell’ipotesi proposta dal consulente del pubblico ministero (e accolta dalla Corte), le scarpe sarebbero state disposte in quel modo da Simonetta e non sarebbero più state toccate né spostate dopo l’omicidio. Ma potrebbe non essere così.

Almeno secondo il criminologo Carmelo Lavorino, nel 1993 consulente per la difesa di Federico Valle (indagato per l’omicidio e poi prosciolto insieme al portiere dello stabile, Pietrino Vanacore, accusato di favoreggiamento, ndr): «Le scarpe sono state disposte una accanto all’altra, in modo ordinato, molto probabilmente con la mano sinistra. Questo perché sono state afferrate e mantenute centralmente e poi posate. Se fossero state afferrate con la mano destra le punte sarebbero state dirette verso sinistra; invece la mano sinistra dirige le punte delle scarpe verso destra. La fotografia scattata da chi ha effettuato i rilievi dimostra che le scarpe vanno verso destra, quindi, sono state afferrate e poi posate con la mano sinistra. I due lacci liberi vanno da destra verso sinistra. Per lacci liberi mi riferisco a quelli esterni alle scarpe: quindi, scarpa sinistra lato sinistro, scarpa destra lato destro. Quando si posano le scarpe a terra i lacci pendenti anticipano la direzione e il verso, nel nostro caso è da sinistra verso destra. E il laccio della scarpa destra è leggermente sotto la suola, segno che prima si è posato il laccio sul pavimento, poi la suola: da sinistra verso destra». Non sarebbe stata analizzata la posizione delle scarpe. Né quello che le foto mostrano all’interno: due macchie di colore rosso brunito all’interno della scarpa destra, macchie che sembrano essere sangue. «Se così fosse, come è molto probabile, le scarpe, al momento dell’omicidio, sono state vicine alla vittima e al suo aggressore. Si dovrebbero analizzare per cercare eventuale tessuto epiteliale o tracce di sudore».

Una macchia di sangue scomparsa dal I grado

Eppure nel processo di primo grado a Raniero Busco nessuno ha mai parlato delle scarpe di Simonetta Cesaroni, accuratamente descritte in quella relazione redatta nel 1990. «Accanto a quelle scarpe in tessuto jeans marca Rontani, numero 37 c’è la presenza di una macchia di sangue, generata da un gocciolamento». E le foto scattate quell’8 agosto del 1990 lo evidenziano chiaramente. Allora perché non sono state analizzate?

Panorama.it lo ha chiesto all’avvocato Lucio Molinaro, legale storico della famiglia Cesaroni. Che ha rinunciato al mandato dopo 21 anni. Al suo posto è stato nominato Massimo Lauro, che già in primo grado ha assistito Paola Cesaroni. È la fine di un legame che nel tempo era diventato anche d’amicizia con la famiglia. Soprattutto con Claudio Cesaroni, il papà di Simonetta, morto nel 2005 per una pancreatite. «So di aver fatto tutto il possibile per ottenere la chiusura di questo caso. L’ho seguito come se mi riguardasse personalmente. Talvolta vedevo Simonetta come se fosse viva. Mi chiedeva di andare avanti, di cercare il suo assassino. Sono stato io a far ritrovare gli indumenti». Ma quello dell’avvocato è anche uno sfogo: «Si poteva e si doveva fare di più».

L’Avv. Molinaro: Non so che fine abbiano fatto le scarpe

Raffaella Fanelli

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lunedì 5 dicembre 2011

Lacrime di coccodrillo

Molinario lascia.
In preda a tardivi dubbi.
Molto tardivi, considerando che alla 17-esima udienza del processo di primo grado dichiarava:
"Questo processo dovrebbe e potrebbe arrivare all'assassino, che potrebbe essere lui se rimangono le cose come sono, che potrebbe non essere lui se esce fuori qualche altra cosa." (fonte: video-intervista di Giovanni Lucifora)
Che è un discorso molto chiaro per chi sa leggere fra le righe.

Le cose si stanno mettendo bene per la difesa di Raniero Busco e forse le parti civili valutano se sia o meno il caso di insistere.
A favore di Raniero si è schierata la quasi totalità dell'opinione pubblica, compresi tecnici, avvocati, criminologi, giornalisti, scrittori.
A dichiararsi convinti della sua colpevolezza erano in quattro, adesso sono rimasti in tre.

Gabriella Schiavon

Il Giornale: L’ex avvocato dei Cesaroni: «Dubbi su Busco colpevole»

Pesanti dubbi sul lavoro della polizia scientifica nel caso di via Poma vengono avanzati dall'ex legale della famiglia Cesaroni, Lucio Molinaro, in un'intervista al Tg Rai del Lazio.

Le perplessità del legale si concentrano sulle tracce di Dna trovate sul reggiseno di Simonetta Cesaroni, uccisa il 7 agosto del 1990 a Roma.
È una delle prove in base alle quali nel gennaio scorso è stato condannato a 24 anni in primo grado Raniero Busco, ex fidanzato della ragazza.

«Il Collegio preciserà ancora di più di fare un approfondimento sull'indumento per escludere che oltre alle tracce di Busco non ve ne siano altre. Questo è stato fatto, ma troppo superficialmente».

Fu proprio il legale a far recuperare alla scientifica il reggiseno di Simonetta Cesaroni per delle nuove analisi con le tecnologie più moderne.

«Se invece vi fossero altre tracce di qualcun altro? - ha detto Molinaro - Allora veramente succederebbe che bisogna ricominciare daccapo. Avevo sperato che ci fosse stato un approfondimento maggiore, quindi ero in una situazione imbarazzante».

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mercoledì 30 novembre 2011

Il 3 dicembre esce il nuovo libro del criminologo Carmelo Lavorino


VIA POMA
INGANNO STRUTTURALE
Autore Carmelo Lavorino
Prefazione di Roberto Faenza
Prima edizione
Pagine 160 - Prezzo ∈ 9,00
Formato: 15 x 21
Capitoli: 10
ISBN: 978 88 97494 01 0
Edizione CESCRIN Centro Studi Investigazione Criminale
Uscita in edicola sabato 3 dicembre 2011
www.detcrime.com
La seconda edizione - pagine 278 - con gli aggiornamenti
uscirà il 15 febbraio 2012 in tutte le librerie italiane


Oltre il processo a Raniero Busco, oltre le verità di comodo e di facciata, oltre i presupposti e le indagini ufficiali, dentro il nucleo invisibile e la barriera impenetrabile che impediscono la soluzione dell'omicidio di Simonetta Cesaroni.
Dentro l'INGANNO STRUTTURALE, quel contenitore segreto degli errori, dei travisamenti, degli artifizi e dei raggiri che hanno permesso all'assassino di Simonetta di farla franca...

Il volume è intitolato “VIA POMA ● INGANNO STRUTTURALE” perché il leit-motiv e il valore prevalente che lo ispirano sono originati da “quel binomio di presupposti errorifici, impalpabile e cementificato, formato dalla barriera invisibile che impedisce la soluzione del caso, un nucleo invisibile che contiene nella sua intimità segreta gli errori, i travisamenti, gli artifizi e i raggiri che hanno permesso all'assassino di farla franca per tanto tempo”, binomio che ho definito INGANNO STRUTTURALE e che da 21 anni sta fuorviando la giustizia, la verità e le indagini.

... vi è stato l’INGANNO STRUTTURALE con il triplice scopo (1) di spostare di almeno 90 minuti in avanti l’ora della morte (2) di fare travisare il movente, il contesto, l’intento primario e il profilo logico investigativo dell’assassino, (3) di mutare lo stato delle cose, dei luoghi e dei fatti e dell’arma del delitto, il tutto in modo da favorire uno o più soggetti.

Vi è stato un inganno machiavellico per confondere le prove, le percezioni e gli elementi fondamentali dell'inchiesta, tanto da fare uscire dal mirino investigativo il vero colpevole e i suoi fiancheggiatori. Difatti, sono stati cambiati i parametri temporali e comportamentali e, quindi, le conseguenze obbligate, quali l’ultima notizia in vita, il momento della morte, la criminodinamica.

… E RANIERO BUSCO? Per quello che riguarda Raniero Busco e il suo processo, piccola
costola dolorante del grande enigma di Via Poma, si possono affermare sei dati di fatto,
conclusioni o concetti, che vanno a demolire i sei capisaldi della sentenza di condanna…

lunedì 28 novembre 2011

Documento: la lettera del Prof. Fori all'Avv. Coppi

"Caro Prof. Coppi, faccio seguito al nostro recente incontro... per sintetizzare in forma scritta quanto ho ritenuto doveroso comunicarTi.
Non ho seguito, se non nei resoconti giornalistici, il processo contro Busco e quindi non so nulla del dibattimento. Ma quando è stata resa nota la sentenza sono rimasto molto colpito dalla condanna in quanto i dati probatori di mia diretta conoscenza erano tali da mettere in serio dubbio le conclusioni della Corte.

Ho così riletto la mia relazione d'ufficio collegiale, redatta con i colleghi proff. Pascali e Destro-Bisol su incarico del GIP Giuseppe Pizzuti ma del resto non ve n'era bisognono in quanto ricordavo molto di quella difficile indagine. Poiché non sono stato sentito durante il processo mi chiedevo cosa ne fosse stato degli accertamenti su tracce da me personalmente eseguiti all'epoca. Non intendendo, per evitare clamore mediatico, parlarne con il precedente difensore di Busco, che non conosco, ho ritenuto opportuno rivolgermi a un vecchio amico, ora anch'egli pensionato e mio vicino di casa, il procuratore (omissis) il quale ha ritenuto che io abbia non solo l'obbligo morale di intervenire, bensì anche quello giuridico (omissis).

Ti invio copia della perizia, che ovviamente deve essere agli atti. All'epoca fummo incaricati solo di acccertamenti su tracce. Nell'istituto di Medicina Legale dell'Università Cattolica che allora dirigevo, arrivò una grande quantità di reperti, che ccuparono un'intera stanza. Ma gli unici reperti utili erano la porta e alcuni residui di precedenti accertamenti eseguiti presso il laboratoro di polizia scientifica. La polizia aveva senza dubbio consumato troppo materiale, ma c'erano all'epoca delle giustificazioni tecniche.
Fece però un'importante scoperta: sulla maniglia della porta dell'appartamento si trovava una lunga striscia di sangue, peraltro in parte consumata quando è gunta a noi ed il sangue era stato tipizzato come gruppo A. Simonetta era di sangue 0 e quindi il sangue non era il suo. Esaminammo il sangue di varie persone, anche offertesi spontaneamente. Tra queste il Busco, che è di gruppo 0 (nelle conclusioni della perizia non si fa il suo nome perchè egli non era indagato ma solo volontario).

Su quella traccia abbiamo effettuato varie indagini ma quella che è dirimente è che si è confermato, in quattro successive prove, eseguite da me personalmente (che per decenni ho pubblicato anche all'estero articoli sul sistema AB0 ed ho pertanto una rilevante esperienza) il gruppo A sulla traccia. Potremmo anche parlare delle altre indagni su tracce riferite nella nostra perizia - sulle quali, per i limiti tecnici dell'epoca, non mi sento di giurare. Ma l'AB0 è tipizzato in Italia e altrove da circa un secolo e non lascia dubbi. Purtroppo l'indagine non si può ripetere perchè quando io ho riconsegnato, dopo anni, la porta alla polizia, non vi era più alcuna traccia visibile (non escludo che col luminol non potesse trovarsi qualcosa: d'altro canto molti anni dopo è stata eseguita un'altra perizia d'ufficio).

La verità processuale è che il sangue sulla maniglia è di gruppo A e che Simonetta e Busco sono di gruppo 0.
Nella sentenza il tema è appena sfiorato ed accantonato incomprensibilmente e colpevolmente.

Se ne deve dedurre con certezza processuale:
  • che il sangue sulla maniglia non è di Busco, bensì di un'altra persona che evidentemente si è ferita colpendo Simonetta
  • che in alternativa si può solo immaginare che gli assalitori presenti fossero due e che comunque uno soltanto si è ferito ma non Busco!

Aggiungo marginalmente una consderazione relativamente al sangue: che notoriamente anche in pccola quantità macchia moltissmo e ci si può figurare quanto se la vittima sia colpita con molte coltellate. Ho letto una tesi un pò singolare: che il sangue sarebbe stato trattenuto dentro il corpo: il chè è ovvio ma altrettanto ovvio è che molto altro ne sia stato versato all'esterno (immagino ci sia qualche foto del sopralluogo!). Ne consegue che l'autore, o qualcuno che l'ha poi aiutato, ha dovuto impegare molto tempo per la accurata pulizia: e gli stracci non sono stati trovati neppure nei cassonetti adacenti l'edificio. Questo il motivo del forte sospetto che la pulizia sia stata eseguita da un abitante del condomino.

Ma questa è altra questione rispetto al problema del gruppo A che mi riguarda personalmente e che può essere causa di un gravissimo errore giudizario. Un estraneo sarebbe fuggito di corsa e non si sarebbe invece pericolosamente attardato a fare puliza.

Cordialmente
Angelo Fiori"

giovedì 24 novembre 2011

Raffaella Fanelli: "Delitto di via Poma: ci sarà una nuova super perizia"

Una nuova super perizia e un nuovo dibattimento per il delitto di via Poma.
Lo ha deciso la Corte d’assise d’appello di Roma presieduta da Mario Lucio D’Andria con a latere il giudice e scrittore Giancarlo De Cataldo.

Accolte, quindi, le richieste della difesa di Raniero Busco condannato in primo grado a 24 anni di carcere per l’omicidio dell’ex fidanzata Simonetta Cesaroni, uccisa con 29 colpi di tagliacarte il 7 agosto 1990, negli uffici romani dell’Aiag.
Sarà nominato il prossimo 5 dicembre un nuovo esperto che dovrà rispondere in maniera definitiva a quegli elementi su cui si è fondata la riapertura dell’inchiesta nel 2007 e il successivo processo, il primo celebrato sul delitto di via Poma.

L’udienza si è svolta nell’aula “Europa” della Corte d’Appello. A rappresentare la pubblica accusa il procuratore generale Alberto Cozzella. La nuova perizia avrà il compito di rianalizzare quel segno sul seno sinistro di Simonetta, per l’accusa sicuramente un morso, che coinciderebbe con l’arcata dentaria dell’imputato, anche oggi presente in aula. Così come in tutte le udienze del processo di primo grado.

Al suo fianco, come sempre, la moglie Roberta. È stato quasi protetto da lei, da una mano che ha tenuto stretta per tutto il tempo prima di entrare in aula. Insieme hanno attraversato una folla di giornalisti e fotografi. Insieme, da cinque anni, da quando una perizia ha catapultato l’ex fidanzato di Simonetta nell’inchiesta, continuano a non capire. A chiedersi il perché di tutto questo. Eppure, per i giudici di primo grado, sarebbe stato lui a uccidere. Lui a straziare con 29 colpi di tagliacarte il corpo di Simonetta Cesaroni. Lui a colpire i seni della ragazza, i suoi occhi.

Ma perché lo avrebbe fatto? Già, in tutta questa storia, e nella sentenza di condanna a mancare è proprio il movente. Da quello si dovrebbe partire, di solito, per arrivare a un colpevole. Non è stato così per Raniero Busco. La sua sentenza di condanna si basa solo su perizie. Su un presunto morso che un nuovo esperto dovrà esaminare. D’altronde non la si poteva certo chiedere o pretendere dalla procura un’indagine investigativa a vent’anni dai fatti. Impossibile trovare una testimonianza, men che meno ricostruire ruoli e responsabilità.

Le perizie

Le perizie però sono arrivate nel processo di primo grado. Anche se altre sono state dimenticate. Dimenticata quella sul sangue trovato sul lato interno della porta della stanza dove Simonetta fu uccisa eseguita otto anni fa da Luciano Garofano (poi consulente del pm ndr) in cui si escludeva che il dna appartenesse a Busco. Quella perizia non è stata mai portata in aula nel processo di primo grado. È arrivata nella prima udienza del processo d’appello. E i suoi risultati confermano quanto già rilevato e scritto dal professor Angelo Fiori, medico legale di livello internazionale, chiamato all’epoca del delitto ad analizzare le tracce biologiche trovate sulla tastiera del telefono e sulla porta dell’ufficio di via Poma.

Angelo Fiori ha ricordato in una lettera indirizzata all’avvocato Franco Coppi, legale di Raniero Busco, e poi allegata ai motivi d’appello, quei giorni nei laboratori di medicina legale dell’Università Cattolica (che allora dirigeva) e ha raccontato di quella lunga striscia di sangue di gruppo “A” trovata sulla maniglia della porta dell’appartamento e sulla tastiera del telefono. Una traccia di sangue da sempre attribuita all’assassino. Eppure Busco ha gruppo sanguigno 0.

La lettera del professor Angelo Fiori è stata depositata. E accolta oggi dai giudici d’appello. Una lettera che nel processo di secondo grado dovrà trovare una risposta. Una risposta sarà data anche a quei trucioli di segatura ritrovati sui calzini della vittima. La segatura serve per assorbire liquidi. Serve per pulire. Un’azione esclusa da chi ha condannato Raniero Busco.

Le presenze di Busco al lavoro

Le presenze di Busco al lavoro

C’è poi un nuovo documento trovato dopo la condanna di primo grado e acquisito oggi in appello. Si tratta di un foglio in originale delle timbrature Alitalia, con tanto di numero di matricola, orari e ritardi, nonché presenze di Busco. Su quella pagina le ferie partono dal 17 agosto, una settimana dopo il delitto. Di conseguenza, Busco non aveva necessità di vedere Simonetta quel pomeriggio in via Poma (come ipotizzato dall’accusa) perché avrebbe potuto farlo anche durante la settimana successiva. Nuovi elementi che potrebbero riscrivere quanto avvenne quel 7 agosto del 1990 in via Poma. E restituire Busco alla sua famiglia e alla sua vita.Inserisci link

Raffaella Fanelli

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mercoledì 23 novembre 2011

Il Tempo: «Una perizia sul dna trovato in via Poma scagiona Raniero Busco»

E d'altra parte, a vent'anni dai fatti, non era facile ricostruire ruoli e responsabilità nel delitto di via Poma.
Ma da domani la difesa di Raniero Busco avrà la possibilità di capovolgere la sentenza di primo grado e dimostrare che i 24 anni di reclusione per aver ucciso Simonetta Cesaroni quel martedì 7 agosto del 1990 lui non li meritava.

Il nuovo processo si svolgerà nell'aula convegni della Corte d'Appello e ad occuparsene sarà il collegio presieduto da Mario Lucio D'Andria con a latere Giancarlo De Cataldo, ormai più noto per i suoi libri (come «Romanzo Criminale») che per la sua attività pur impegnativa di magistrato.

Paolo Loria e Franco Coppi, i difensori dell'ex fidanzato della vittima (che nel frattempo si è sposato e ha avuto due gemellini dalla moglie Roberta Milletarì), cercheranno di smontare punto per punto il castello accusatorio. I due penalisti contesterannno innanzi tutto le prove scientifiche, chiedendo molto probabilmente una nuova perizia super-partes sul presunto morso sul seno di Simonetta e sulla (sempre presunta) saliva trovata sugli indumenti intimi della ragazza massacrata con 29 colpi di tagliacarte negli uffici dell'Aiag.
Per loro, infatti, non fu Busco a mordere l'impiegata e quella trovata sulla biancheria non è saliva, o perlomeno non si può affermare con certezza che lo sia.

Ci sono, poi, i trucioli di segatura trovati sui calzini della vittima, elemento che farebbe pensare a un tentativo «professionale» di pulizia dei locali dopo l'omicidio. Tentativo che Busco non aveva alcun interesse a portare a termine. Anzi, che gli avrebbe fatto perdere inutilmente tempo prezioso per la fuga.

E ancora, un documento trovato dopo la condanna che dimostrerebbe come le vacanze del motorista Alitalia quell'anno scattavano una settimana dopo il delitto. Di conseguenza, Busco non aveva necessità di vedere Simonetta quel pomeriggio in via Poma (come ipotizzato dall'accusa) perché avrebbe potuto farlo anche durante la settimana successiva.

Infine, sottolinea Loria, «esiste una perizia sul sangue trovato sul lato interno della porta della stanza dove Simonetta fu uccisa eseguita otto anni fa da Luciano Garofano (poi consulente del pm ndr) in cui si escludeva che il dna appartenesse a Busco. Ma quella perizia non è stata mai portata in aula».

In attesa del verdetto di secondo grado gli italiani potranno vedere la fiction su via Poma prodotta dalla Taodue di Pietro Valsecchi e diretta da Roberto Faenza. La trasmissione era stata «congelata» da un'istanza dei legali di Busco (ricorso d'urgenza ex art. 700) che, però, è stata ritirata.

Maurizio Gallo

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sabato 12 novembre 2011

La Stampa: "Nelle tracce di sangue la firma del vero assassino"

Il medico legale: non sono né di Busco né di Simonetta

La difesa di Raniero Busco, condannato a 24 anni per l'omicidio di Simonetta Cesaroni, tira fuori una carta che potrebbe essere determinante per ribaltare il verdetto di primo grado. Il 24 novembre inizia il processo di appello e i legali di Busco, Franco Coppi e Paolo Loria, depositano la lettera di uno degli esperti di medicina legale chiamato all’epoca del delitto ad analizzare le tracce biologiche trovate sulla porta dell’ufficio di via Poma. Sangue che non era di Busco, non era di Simonetta e quindi non poteva che essere dell’assassino, come rileva Angelo Fiori, medico legale di livello internazionale che scrive al professor Coppi.


Le sue sono parole che pesano: «... Quando è stata resa nota sentenza scrive - sono rimasto molto colpito dalla condanna in quanto i dati probatori di mia diretta conoscenza erano tali da mettere in serio dubbio le conclusioni della Corte». Nella sentenza di condanna viene liquidata come ininfluente la traccia ematica di gruppo «A» rilevata sulla parte interna della porta e sulla tastiera del telefono. Traccia che attesterebbe la presenza sul luogo del delitto di una persona diversa da Simonetta e da Busco, entrambi di gruppo «0».

Ma la condanna di Busco annulla questa prova. Cosa che turba il professor Fiori che analizzò quelle tracce. «Ho riletto - continua - la mia relazione d'ufficio collegiale, redatta con i prof. Pascali e Destro-Bisol su incarico del Gip Giuseppe Pizzuti. Poiché non sono stato sentito durante il processo mi chiedevo cosa ne fosse stato degli accertamenti su tracce da me eseguiti all’epoca». Fiori ricorda quei giorni nei laboratori di medicina legale dell’Università Cattolica (che allora dirigeva) e racconta di quella lunga striscia di sangue di gruppo «A» trovata sulla maniglia della porta dell’appartamento.

«Esaminammo il sangue di varie persone, anche offertesi spontaneamente. Tra queste Busco, che è di gruppo zero». Fiori è stupito che questo dato non sia stato valutato adeguatamente: «La verità processuale è che il sangue sulla maniglia è di gruppo A e che Simonetta e Busco sono di gruppo «0». Nella sentenza il tema è appena sfiorato ed accantonato incomprensibilmente e colpevolmente. Se ne deve dedurre con certezza processuale: che il sangue della maniglia non è di Busco, bensì di un’altra persona che evidentemente si è ferita colpendo Simonetta». O «che in alternativa si può solo immaginare che gli assalitori presenti fossero due e che comunque uno soltanto si è ferito ma non Busco!».

Tutto da rifare dunque? Certo è che la sentenza di primo grado che condanna dopo 20 anni dal delitto Raniero Busco a 24 anni si basa su un sillogismo, come rivelano i motivi di appello aggiunti depositati dalla difesa: le tracce di Dna riconducibili a Busco trovate sul corpetto e sul reggiseno sarebbero poste in prossimità del seno sinistro, «zona che presenta un segno interpretabile come morso inflitto contestualmente all’azione omicidiaria». Quindi, secondo l’accusa, e la sentenza di condanna, se il Dna è situato nella zona del morso, e questo è stato dato nel corso del delitto, il Dna appartiene all’autore del delitto. Secondo la difesa però «ogni elemento del sillogismo accolto nella sentenza rimane di per sé indimostrato».

A iniziare dal fatto che quelle tracce non si sa se siano saliva. E lo stesso generale Garofano, allora perito della Procura, ammette che si è giunti a ritenere che quelle tracce fossero saliva esclusivamente per un discorso logico-deduttivo che ha come perno l’ipotesi del morso: «È probabile che quel segno sia un morso ergo, quel materiale è saliva». Indimostrabile anche, secondo i legali di Busco, che le tracce di Dna siano state rilasciate contestualmente al delitto. Busco potrebbe avere lasciato il proprio Dna in un’altra occasione visto che Busco e Simonetta Cesaroni erano stati insieme il sabato precedente l’omicidio.

Maria Corbi

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giovedì 3 novembre 2011

Corriere della Sera: Via Poma, prima il film poi il processo

Il ciak d' avvio il 7 agosto, la messa in onda il 23 novembre.
Sarà un caso, ma il film Mediaset «Il delitto di via Poma» incrocia ancora una volta una data essenziale nella storia dell' omicidio.
Dopo aver iniziato le riprese nell' anniversario del delitto, per il debutto del tv-movie è stata scelta la sera prima del processo d' appello a Raniero Busco, condannato in corte d' assise a 24 anni di carcere.
L' esordio del film prodotto da Pietro Valsecchi e diretto da Roberto Faenza era invece atteso tra dicembre e gennaio.

L' ex fidanzato tornerà dunque in aula il mattino dopo che il pubblico avrà visto in tv il delitto di Simonetta, dalle 29 coltellate che l' hanno uccisa ai mille errori e depistaggi nelle indagini.
Fiction a cena, realtà vera e dolorosa poche ore dopo, a meno che la difesa non riesca a bloccare la trasmissione del film.

L' avvocato Paolo Loria aveva annunciato il suo intervento all' inizio delle riprese e ieri ha mantenuto la promessa: ha già depositato un ricorso d' urgenza al tribunale civile. Il tv-movie non deve andare in onda, spiega, per due motivi: «Rischia di influenzare i giudici popolari e implica una violazione della privacy».

Protesta Roberta Milletarì, la moglie di Busco: «Sono indignata, è una questione di rispetto: spettacolarizzare questa vicenda non significa cercare la verità». Tuttavia, continua, «mi stupisco solo fino a un certo punto: è lo stesso tipo di atteggiamento tenuto da Paola Cesaroni (la sorella della vittima, ndr) quando è andata in tv la sera prima della sentenza. Lei, che in vent' anni non si era mai lasciata intervistare».

Lavinia Di Gianvito

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lunedì 24 ottobre 2011

Omicidio Via Poma: Busco innocente ‘al di là di ogni ragionevole dubbio’ ?

Roberta Milletarì moglie di Raniero Busco non si dà per vinta.

Il 24 Novembre sarà la Corte d’Assise d’Appello del Tribunale di Roma a doversi pronunciare sul ‘delitto di Via Poma‘ dove Simonetta Cesaroni veniva uccisa con 29 coltellate il 7 agosto del 1990.

Ad essere giudicato Busco, all’epoca fidanzato della ragazza uccisa, dichiarato colpevole in primo grado lo scorso 26 gennaio e condannato a 24 anni.

In questi lunghi mesi di attesa Roberta si è battuta per cercare di dimostrare l’innocenza dell’uomo che ha sposato 13 anni fa e dal quale ha avuto 2 figli che –dice- “cominciano a capire quanto è accaduto”.

E lo ha fatto scrivendo un libro “Al di là di ogni ragionevole dubbio” (Aliberti Editore), redatto a 4 mani con la cronista milanese Raffaella Fanelli che ha raccolto nuovi elementi inediti sul giallo di Via Poma.

«Dettagli scioccanti che smontano pezzo per pezzo le tesi dell’accusa e la ricostruzione di ciò che avvenne il 7 agosto 1990. Particolari mai emersi a processo, come i trucioli di segatura rinvenuti sotto i calzini della vittima, che cambiano completamente la scena del crimine.»

Nel corso della presentazione del libro, tenutasi venerdì scorso al Teatro India a Roma moderata da Igor Patruno giornalista specializzato sul caso e profondo conoscitore degli atti dell’inchiesta, Roberta Milletarì ha spiegato quanto è cambiata la sua vita da quando suo marito è stato accusato dell’omicidio di Simonetta Cesaroni:

«È impossibile per me parlare di futuro – afferma – Il nostro futuro è da qui al 24 novembre. Spero di trovarmi davanti a una Corte scrupolosa che abbia voglia di rispondere almeno a una parte dei misteri che accompagnano questa vicenda. Non ho mai dubitato dell’innocenza di mio marito, neanche per un attimo. Lui è un uomo buono, tranquillo. Chi ha ucciso Simonetta ha colpito con una tale ferocia che sarebbe impossibile per una persona come lui».

E sull’eventualità che la Corte d’Appello possa esprimere un’ulteriore condanna afferma:

«Rifiuto questo pensiero, ma quando l’ho detto a Raniero, lui mi ha risposto: “mi preoccupo solo per voi. È per voi che non mi do pace. A me da mangiare daranno”».

Giovanni Mercadante

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sabato 22 ottobre 2011

Il Messaggero: Via Poma, la moglie: nuovi elementi e li scrive in un libro sul giallo

È stato davvero Raniero Busco a uccidere Simonetta Cesaroni? Tra poco più di un mese sarà una nuova Corte a dover giudicare il comportamento dell’ex fidanzato della vittima di via Poma. Un nuovo processo per il secondo grado di giudizio. Ma in questi mesi di angoscia e attesa quella che, più di ogni altra si è battuta per cercare di arrivare all’assoluzione del marito, è stata Roberta Milletarì, la giovane e bella signora che gli sta a fianco da tredici anni e che gli ha dato due figli. Ha creato gruppi di opinione su facebook, ha investito della difesa anche il super penalista Franco Coppi che collaborerà con l’avvocato storico, Paolo Loria. E ha deciso di scrivere un libro. Si chiama «Al di là di ogni ragionevole dubbio» e, oltre alla sua firma, porta quella di Raffaella Fanelli, cronista milanese «che ha raccolto nuovi elementi inediti», dice Milletarì, su questo giallo dalla soluzione sempre più complessa e lontana.

Il volume è stato presentato ieri al Teatro India da Igor Patruno, giornalista molto esperto sul caso di via Poma e profondo conoscitore degli atti dell’inchiesta (suo il romanzo, «La ragazza con l’ombrellino rosa», dedicato al giallo di via Poma). Per Roberta è stata l’occasione per spiegare quanta angoscia accompagni la loro vita dal giorno in cui la procura di Roma ha deciso di iscrivere Raniero sul registro degli indagati con l’accusa di omicidio volontario. «È impossibile per me parlare di futuro - dice - Il nostro futuro è da qui al 24 novembre. In questa situazione non c’è neanche spazio per i bambini, che cominciano a capire quanto è accaduto. Cosa spero? Di trovarmi davanti a una Corte scrupolosa che abbia voglia di rispondere almeno a una parte dei misteri che accompagnano questa vicenda. Non ho mai dubitato dell’innocenza di mio marito, neanche per un attimo. Lui è un uomo buono, tranquillo. Chi ha ucciso Simonetta ha colpito con una tale ferocia che sarebbe impossibile per una persona come lui». E ancora: «Penso mai all’eventualità di una nuova condanna? Rifiuto questo pensiero, ma quando l’ho detto a Raniero, lui mi ha risposto: “mi preoccupo solo per voi. È per voi che non mi do pace. A me da mangiare daranno”».

Busco ha preferito non essere alla presentazione. «Non se la sentiva - ha spiegato Milletarì - troppe ansie, troppe emozioni».

Cristiana Mangani

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mercoledì 7 settembre 2011

Riepilogo delle tracce presenti sul luogo del delitto.

Reperti negativi alla presenza di sangue.

Non sono risultati positivi alla ricerca di sostanza ematica vari reperti tra cui la cornice del poster sito nell'ufficio amministrazione, armadio metallico nell'ufficio amministrazione, montante finestra segreteria, termosifone, frammenti di stoffa prelevati nel vano ascensore, vetrino dell'interruttore generale dell'ascensore (5x5 cm), mazzo di chiavi con il nastrino giallo, scale a pioli di proprietà di Pietrino Vanacore, 7 paia di scarpe di Pietrino Vanacore, scrivania sequestrata nell'abitazione di Vanacore.

Negativi anche ombrellino, borsetta, portamonete, penna, orologio di proprietà della vittima.

Negativi al sangue anche:
Tagliacarte (sequestrato l' 8-8-1990 h 5.00 sulla scrivania di M.L.Sibilia) di metallo, lungo circa 30 cm avente la parte anteriore appuntita e lunga circa 20 cm e la parte posteriore larga, piatta e lunga circa 10 cm.
CCTT Garofano-Pizzamiglio-Moriani (3-9-2007): negativo a sangue.



Secchio verde con 2 stracci e spazzolone (repertati il 13-8-1990 h10.00)
CCTT Pollo Poesio-Dallapiccola (polizia scientifica) (17-8-1990): negativi per tracce di materiale ematico.

Asciugamani (repertati il 14-8-1990 nello studio Izzo-Forza).
CCTT Pollo Poesio-Dallapiccola (polizia scientifica) (17-8-1990): negativi per tracce di materiale ematico.

Tracce su lavatoio condominiale terrazze
CCTT Garofano-Pizzamiglio-Moriani (3-9-2007): negativi a sangue (probabili residui di prodotti detergenti).

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Reperti positivi alla presenza di sangue.


Sangue della vittima: gruppo 0, Gm a+b+, PGM 1+1+, DQ alfa 4-4
Sangue di Raniero Busco: gruppo 0, DQ alfa 4-4


Sangue sui pantaloni del Vanacore (repertati il 14-8-1990): come è noto, è risultato appartenere al Vanacore stesso (risultato unanime di varie perizie).

Traccia lato esterno porta Carboni (reperto 12b): tassello (6x9 cm) prelevato dalla porta di con traccia 'sbaffo' di forma ovalare (1x3 cm).
CCTT Fiori-Pascali-Destro Bisol (3-4-1991) si tratta di sostanza ematica Gruppo 0. Altre indagini non sono risultate possibili.
CT Victoria Lareu (21-7-2008): La concentrazione di DNA è di 85 piccogrammi per cui ci troviamo davanti ad un caso di un'analisi di un campione con bassa concentrazione di DNA. Non ci sono stati inviati dati di controlli negativi per cui non possiamo escludere la presenza di contaminazione. Non possiamo confermare né scartare la presenza del profilo genetico di Busco Raniero per cui l'analisi ai sensi del nostro protocollo di interpretazione è risultata non concludente.
CCTT accusa Garofano-Pizzamiglio (15-9-2008): l'analisi (kit Identifiler) ha consentito di individuare soltanto la vittima, mentre la presenza di DNA maschile è apparsa irrilevante. La quantità di materiale genetico è risultata estremamente esigua. La valutazione globale dei dati ottenuti concorda con quanto affermato nella relazione degli esperti spagnoli il che non permette di escludere né confermare la presenza di materiale genetico di Busco Raniero.
CCTT difesa Novelli-Giardina (29-10-2008): si individua con certezza il DNA della vittima. DNA maschile tecnicamente non rilevabile. Presenza di contaminazioni nei controlli negativi. Il DNA non attribuibile alla vittima, eventualmente ricavato dalla traccia ematica del reperto non è interpretabile.



Traccia lato interno porta Carboni (reperti 12c-12d-12e): strisciate di sangue su porta e maniglia.
CCTT Pollo Poesio-Dallapiccola (polizia scientifica) (17-8-1990): l'esigua quantità di materiale suggerisce di interrompere la ricerca onde consentire una residua disponibilità per controlli ed esami ulteriori.
CCTT Pollo Poesio-Dallapiccola (polizia scientifica) (12-9-1990): Sangue umano - Gruppo sanguigno A.
CCTT Pollo Poesio-Dallapiccola (1-10-1990) sottoposta ad analisi per il sistema sanguigno AB0 ha dato esito positivo per il gruppo A. Non si è proceduto all'analisi del DNA con PCR per non disperdere la traccia che è di esigua consistenza.
CCTT Fiori-Pascali-Destro Bisol (3-4-1991) reperti: 12c (un rettangolino di tessuto di cotone 5x5 mm su cui era assorbita una traccia prelevata dalla porta), reperto 12d (provetta in plastica eppendorf recante la scritta 'maniglia' in cui erano contenuti fili di cotone), reperto 12e (provetta in plastica eppendorf recante la scritta 'porta' in cui erano contenuti fili di cotone). Si tratta di sostanza ematica. Gruppo A – gm a+ (l'assenza di b non è valutabile per l'esiguità del reperto) – sesso maschile – DQ alfa 1.1-4 – NB il gruppo A di questa macchia è stato confermato attraverso quattro successive ripetizioni dell'analisi.
Tali tracce sono incompatibili con il sangue della vittima e con il sangue degli indagati [tracce confrontate con un primo gruppo di indagati (Pietrino Vanacore, Giuseppa De Luca, Mario Vanacore, Ermanno Bizzocchi, Maria Luisa Sibilia, Salvatore Sibilia) e di volontari (Salvatore Volponi, Luca Volponi, Corrado Carboni, Raniero Busco, Luciano Menicocci, Paola Cesaroni, Antonello Barone, Francesco Caracciolo di Sarno, Giuseppina Faustini)].
CCTT Fiori-Pascali-Cortese (28-4-1992) in seguito all'indagini su Federico Valle dichiarano che il sangue del Valle è compatibile con quello sulla porta per il gruppo sanguigno (A) ma incompatibile per il DQalfa (1.1.-1.1 contro 1.1-4)
CCTT Dallapiccola-Spinella (1-6-1992) sostengono che il sangue sulla porta può essere considerato il risultato di una commistione fra sangue della vittima e sangue dell'imputato (Federico Valle). Da esperimenti eseguiti in laboratorio con due tipi di sangue euguali a quelli della vittima e del Valle, la commistione, in diverse proporzioni, ha sempre dato il risultato del sangue della porta. Specificatamente: se si mischia un sangue del tipo: gruppo O, sesso femminile, DQalfa 4.4 con un sangue tipo: gruppo A, sesso maschile, dqalfa 1.1/1.1 , prevale il gruppo A il sesso maschile e il DNA si combina con un DQalfa 1.1/4.4; il sangue rinvenuto sulla porta è appunto gruppo A, sesso maschile, DQalfa 1.1/4
CCTT Garofano-Lago (2-10-1999 – procedimento penale nei confronti di ignoti): i reperti A (provetta recante dicitura “porta” contenente frammenti di cotone relativi alla repertazione di verosimili tracce ematiche) e B (provetta recante la dicitura “maniglia” contenente frammenti di cotone relativi alla repertazione di verosimili tracce ematiche) hanno consentito di stabilire che si trattava di sangue umano. I reperti A e B hanno fornito dei profili genetici ai limiti della interpretazione ma comunque UTILIZZABILI ai fini di un eventuale studio comparativo. L'analisi dei profili ottenuti, risultate non compatibili con i genitori della vittima e pertanto non compatibili con la medesima, possono essere riferite ad un soggetto di sesso maschile. I limiti derivanti dalla bassa intensità dei segnali relativi agli alleli interpretabili rendono assai complessa una sicura attribuzione personale. Tali profili risultano però UTILIZZABILI per un esame comparativo al fine di stabilire un'esclusione certa o la eventuale compatibilità, seppur parziale, rispetto a soggetti sospettati/indagati. Non avendo materiale biologico di confronto per esplorare ipotesi di compatibilità di soggetto/soggetti indagati, in questa sede non è stata condotta alcuna analisi comparativa.

Nella sentenza (pag 129) si legge:
"Ciò detto, a parere della Corte, le tracce ematiche di gruppo A sulla parte interna della porta e sulla tastiera del telefono devono ritenersi ininfluenti rispetto al compendio probatorio acquisito. Ed in particolare, sia per la traccia interna sulla porta (prelevata unendo insieme la traccia presente sulla porta e quella presente sulla maniglia), sia per la traccia sulla tastiera del telefono, non possono escludersi, ma anzi devono ritenersi probabili, fenomeni di contaminazione, trattandosi di oggetti naturalmente destinati ad essere toccati da altre persone".
Questo concetto è stato introdotto dalla Pm e successivamente confermato dai consulenti dell'accusa.
Non è stato contestato dai consulenti della difesa. Invece nelle perizie si evince che i reperti ERANO DISTINTI.

Ancora sulla contaminazione di questa traccia, nella sentenza si legge:
"Circa quest'ultima traccia, la presenza di materiale maschile potrebbe ricondursi ad una sovrapposizione di fluidi biologici sangue/sudore, legata alla stessa azione tamponante esercitata per il prelevamento delle diverse striature ematiche, in un'area della porta contigua alla maniglia, il ché avrebbe comportato l'asportazione di tracce biologiche pregresse, indipendenti dall'omicidio"
Le prime analisi che furono eseguite sui reperti, parlano di sistema di rilevazione AB0 che risulta non essere applicabile a sostanze organiche quali sudore o saliva, ma solo a SANGUE.



Telefono e relativa traccia di aspetto ematico assorbita su frammenti di cotone
CCTT Pollo Poesio-Dallapiccola (polizia scientifica) (17-8-1990): l'esigua quantità di materiale suggerisce di interrompere la ricerca onde consentire una residua disponibilità per controlli ed esami ulteriori
CCTT Fiori-Pascali-Destro Bisol (3-4-1991): trattasi di sostanza ematica di gruppo A.
CCTT Dallapiccola-Spinella (19-11-1992): trattasi di sangue umano gruppo A genotipo HLA DQalfa 4.4

5 pannolini da donna, carta igenica sporca di sangue (sequestrati l' 8-8-1990 h 19.30 su via Andreoli)
CCTT Pollo Poesio-Dallapiccola (polizia scientifica) (17-8-1990): Sostanza ematica - Gruppo A
CCTT Fiori-Pascali-Destro Bisol (3-4-1991) Le macchie sono di sostanza ematica. Gruppo A – Hp 2-1 – PGM1 1+1+.

2 mutandine da donna bianche sporche di sangue (sequestrati il 16-8-1990 h 19.30 in un sottoscala di fronte al civico 2 di via Poma sotto indicazione di un fotoreporter)
CCTT Pollo Poesio-Dallapiccola (polizia scientifica) (17-8-1990): Sostanza ematica - Gruppo 0

Vetro interno ascensore con macchie sangue (pannello 105x21 cm - repertato il 27-8-1990)
CCTT Pollo Poesio-Dallapiccola (polizia scientifica) (12-9-1990): DQ alfa 4-4 - fenotipi identici a quelli presenti nel sangue della vittima
CCTT Pollo Poesio-Dallapiccola (1-10-1990) Gruppo 0. La probabilità che i due campioni (sangue vetro e sangue vittima) appartengano allo stesso soggetto è del 99,53%.
CCTT Garofano-Pizzamiglio-Moriani (3-9-2007): un profilo genetico maschile ignoto e quindi non corrispondente ad alcuno degli individui oggetto della presente consulenza è invece emerso dalle tracce di natura ematica ancora presenti sul vetro dell'ascensore.

Frammenti di intonaco di parete del vano ascensore con macchie di sangue (repertate il 27-8-1990)
CCTT Pollo Poesio-Dallapiccola (1-10-1990) Le macchie sono di sostanza ematica. Data l'esiguità della traccia e per evitare di consumarla irrimediabilmente, non è stata analizzata.
CCTT Fiori-Pascali-Destro Bisol (3-4-1991) Le macchie sono di sostanza ematica. Gruppo B - Gm a-/b+. Altre indagini non sono risultate possibili.

Corpetto reggiseno calzini
CCTT Garofano-Pizzamiglio-Moriani (3-9-2007) su corpetto e reggiseno evidenziano oltre a materiale genetico della vittima anche materiale genetico relativo a Raniero Busco (circostanza non contestata dalla difesa).
Sui calzini solo materiale genetico della vittima e trucioli di segatura.
A proposito dello stato di conservazione, i periti dichiarano: “non può inoltre ignorarsi che le modalità di raccolta e conservazione dei reperti (schiacciati insieme in un sacchetto di plastica) possano ulteriormente aver favorito la dispersione/rilascio di residui ematici essiccati tra un reperto e l'altro”
Questo è lo stato della busta contenente gli oggetti riaperta dopo 17 anni:



A proposito invece degli esperimenti sui lavaggi eseguiti su tessuti simili in modo da stabilire se un lavaggio rimuovesse o meno tracce organiche, i periti dichiarano: “I rapidi lavaggi a mano si sono rivelati meno efficaci in almeno 3 casi su 4 poiché i recuperi di materiale genetico risultano paragonabili o di poco inferiori a quelli dei tessuti non lavati.”

Gabriella Schiavon

lunedì 29 agosto 2011

Dalla pellicola sull'omicidio di Simonetta Cesaroni ci si aspetta una pista alternativa. Intanto, sull'altro set, Pino la rana interpreta se stesso

Il delitto di via Poma’ e ‘Pasolini, la verità nascosta’, sono le due fiction che gli appassionati di cronaca nera (e delle teorie del complotto) attendono con ansia. Arriveranno nel 2012. Intanto, in contemporanea in questi giorni, sono stati battuti i primi ciak di entrambi i film. E le polemiche non si sono fatte attendere.

Sul set del film su Pasolini (regia di Federico Bruno) c’è Pino Pelosi (detto ‘Pino la rana’), che interpreta se stesso. Pelosi è stato riconosciuto in Cassazione come autore dell’omicidio dell’intellettuale bolognese. Ma quella sentenza non ha fatto piena luce su uno degli episodi più oscuri della storia italiana. ‘Pino la rana’, pochi anni fa, ha rincarato la dose sostenendo che quella notte di inizio novembre, all’Idroscalo di Ostia, non era solo. C’erano altre cinque persone: la verità nascosta di Pino Pelosi appunto. E ‘il delitto di via Poma’ (regia di Roberto Faenza) non è da meno.

In primo grado la terza Corte d’Assise di Roma ha condannato l’ex fidanzato di Simonetta Cesaroni a 24 anni. Ma anche questa sentenza ha lasciato più di un dubbio.

L’unica certezza è che le indagini del 1990 furono insufficienti e grossolane, e le nuove indagini che hanno permesso la riapertura del caso non hanno sciolto alcuni dubbi fondamentali. Ad ogni modo, in attesa del secondo grado, Raniero Busco (46 anni, sposato, due figli) è l’assassino della ventenne romana. Ma chi ha seguito il processo, ascoltato i tecnicismi delle perizie e provato stupore nell’esclusione di alcune piste investigative, sa’ che la verità, anche in questo caso, potrebbe essere nascosta, e qualcuno prima o poi dovrà rivelarla. O qualcun altro prima o poi dovrà ricostruirla. Provarci. Non accontentarsi delle sentenze che non convincono. Decisioni che rappresentano il lavoro encomiabile di magistrati, avvocati, poliziotti, investigatori e seri professionisti.

Tutto questo però non sempre raggiunge lo scopo prefissato, e la colpa è spesso di troppi o di nessuno. Alle volte invece le responsabilità sono più evidenti, talvolta sono anche chiare; e allora ben venga una fiction televisiva che possa far comprendere una verità nascosta, o magari spronare qualcuno a indagare per arrivare a una verità ulteriore.

In caso contrario, pollice verso.


Giovanni Lucifora

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domenica 17 luglio 2011

Condannato e non colpevole

Leggo il libro 'Al di là di ogni ragionevole dubbio' di Raffaella Fanelli e Roberta Milletarì (moglie di Raniero Busco) e scopro che c'è altro oltre il racconto di via Poma.
Oltre l'attentissima e dettagliata ricostruzione dei fatti proposta da Raffaella Fanelli, oltre l'elenco dei mille dubbi e domande rimasti senza risposta.

C'è la tragica vicenda umana di una famiglia travolta da un incubo impensabile.
La sofferenza di una coppia di persone normalissime costrette a fare fronte a qualcosa di inimmaginabile e a gestire la loro vita senza più direzione.
E il disperato tentativo di proteggere quella dei loro due bambini.

La scrittura di Roberta è a tratti rabbiosa, a tratti segnata dallo sconforto:

"Raniero non ha mai fatto del male a nessuno. Lui non ha ucciso Simonetta.
Questa sentenza appartiene a un altro e a lui deve essere restituita.
I morti hanno bisogno di giustizia. Certo. Ma un innocente non può pagare per quello che non ha commesso, non può saldare il conto di qualcun altro e giustificare con la sua condanna i milioni di euro spesi da una procura in esami, perizie e inutili indagini...
Raniero ha lo sguardo smarrito. Perché non è successo a me tutto questo? Io sarei stata in grado di sopportarlo, ma lui no. Lui non è come me, lui è migliore di me. Lui è più buono, più onesto, più fragile… lui che non si arrabbia mai, lui che non alza mai la voce e che sorride quando lo faccio io! No. La sua dignità, la sua onestà, la sua innocenza meritano rispetto. Ne avranno le persone che decideranno della nostra vita, del nostro futuro? Decideranno cosa fare di Raniero senza aver mai parlato con lui, senza averlo mai guardato negli occhi... Non avremmo mai immaginato tutto questo. A cosa serve comportarsi da persone corrette quando poi ti vedi quarant’anni di vita onesta distrutti in un giorno solo dai titoli dei giornali che ti additano come un assassino. Una vita intera distrutta dal caso, da un test. Il nostro vissuto non esiste più, e c’è solo uno spaventoso punto di domanda sul nostro futuro."

Quello spaventoso punto di domanda che stravolge anche la vita dei loro bambini:

"Stringo nella mia la sua piccola mano, morbida dal sonno. Alzo gli occhi al cielo e sento quasi male quando le lacrime scendono. Avrei dovuto fare uno shampoo e una doccia e invece sono qui nel letto grande, insieme a lui, a scacciare le sue paure di bambino… mi fermo a guardarne la dolcezza del viso mentre dorme. Penso a quanto sarà faticoso e difficile proteggere la sua serenità."

"Una piccola domanda. Con la solita cantilena tipica dei bambini. «Mamma, però un giorno ci porti sulla neve?» E io non ho saputo rispondere ai miei figli…"

"Così come l’innocente domanda di Riccardo: «Perché mamma, era al lavoro da sola quella ragazza?»"

"Nessuno conosce la nostra disperazione oggi, e la nostra vita prima. Non sa dei giochi con i nostri figli, delle risate tutti e quattro insieme, di quando abbiamo asciugato le loro lacrime. Di quando abbiamo detto a Riccardo e a Valerio ciò che stava succedendo in famiglia, al loro papà. Abbiamo voluto che sapessero da noi... Guardo la foto del nostro viaggio di nozze, immobile nella cornice d’argento, lo scatto mentre abbracciavo sorridente una palma e guardavo alla vita e al futuro con Raniero. Non sono io. Non lo sono più... Ripenso a Raniero, a come era prima. Ma non sempre riesco a rimettere insieme il suo viso. Lo ricordo per alcuni gesti, per il suono della sua risata, per il bacio che mi ha dato l’ultima volta in un luna park, a Roma. Mi chiedo dove sia finito il mio Raniero, la sua espressione divertita. Forse è nello stesso posto dove sono finita io. Mi chiedo se qualcuno ha dei rimorsi per tutto questo... Ho sempre sperato che venisse rispettata la legge: si deve accertare la colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. Invece sulla nostra testa gli indizi sono diventati prove e le ipotesi certezze. Dire vergogna è poco. Ma come fanno a dormire tranquilli la notte? Come ci riescono con il dubbio lacerante di aver potuto condannare un innocente?"

Ma questo, appunto, non importa a nessuno.
Non importa a quelli che in tutti questi anni hanno mentito, depistato.
Non importa a quelli che non hanno fatto il proprio dovere fino in fondo.
Non importa a quelli che hanno forzato le perizie.
Non importa a quelli che si sono dichiarati soddisfatti di una sentenza pur sapendo che non era lui il colpevole.
Non importa a quelli che non si sono fatti avanti a raccontare la verità.
Non importa a quelli che hanno permesso che succedesse tutto questo.

Non tutti hanno tra le loro qualità l'empatia, la capacità di immedesimarsi nell'altro e capirne sentimenti e pensieri.
Ci si gira dall'altra parte e si pensa ai fatti propri.

C'è tuttavia un modo proposto da Umberto Brindani (direttore di 'Oggi' e autore della prefazione del libro) per centrare il giusto punto di vista:

"«Meglio cento colpevoli in libertà che un innocente in galera». Quella frase non ci convince perché siamo egoisti, ci immaginiamo come potenziali vittime di uno dei cento.
A quell’uno, innocente, non ci pensa mai nessuno.
C’è un solo modo per capire quella frase: immaginare che quell’uno siamo noi.
Io che scrivo, tu che leggi."

Gabriella Schiavon

martedì 12 luglio 2011

Raffaella Fanelli: Via Poma, l'altra verità

Busco è veramente il colpevole? Alla vigilia del processo d'appello la casa editrice Aliberti pubblica AL DI LA' DI OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO, il libro che ho scritto con Roberta Milletarì, la moglie di Raniero Busco. Un libro che racconta tutt'altra verità su quanto accadde quel 7 agosto 1990.
Raffaella Fanelli.

Emergono nuovi e importanti elementi in vista del processo di Appello.

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sabato 9 luglio 2011

Il mistero delle agendine

Simonetta aveva nella borsetta 2 agendine telefoniche, una rosa e una azzurra.
Entrambe contenevano recapiti telefonici ma erano diverse, una più sottile con fogli bianchi e l'altra più consistente con la formattazione a righe tipica delle rubriche, nella cui retrocopertina sono contenuti i famosi versi della canzone di Lucio Dalla:
"E per cosa mi dovrei pentire? Di giocare con la vita e di prenderla per la coda; tanto un giorno dovrà finire e poi all'eterno ho già pensato, è eterno anche un minuto, ogni bacio ricevuto dalla gente che ho amato".

Non sembra ci sia una distinzione logica tra le due agendine (tipo una per gli amici e l'altra per il lavoro), ma forse l'agendina sottile con le pagine bianche sembra contenere numeri cronologicamente più recenti. Probabilmente è stata acquistata perchè la prima era già piena su parecchie lettere alfabetiche di riferimento.

Sembra perchè quella sottile conteneva i numeri di telefono lavorativi più recenti: oltre quelli dell'ufficio di via Maggi (presenti su entrambe le agendine), c'era quello di via Poma (sotto ostello gioventù), quelli di Luciano Menicocci di casa e dell'ufficio a via Cavour, il numero di casa della Berrettini, quello della tabaccheria di Volponi (insieme a tutti gli altri recapiti di casa e di Fiumicino), nonchè inspiegabilmente due numeri dell'ufficio dell'avvocato Caracciolo di Sarno.

Questa stranezza è stata fatta notare al processo dall'avv. Loria, difensore di Raniero Busco, ma è evidente che non ha avuto grande rilevanza nella decisione dei giudici. Eppure avrebbe meritato almeno qualche riflessione in più, visto che lo stesso avvocato Caracciolo ha dichiarato di non conoscere affatto la ragazza, tanto che non sapeva nemmeno se questo suo collaboratore esterno fosse uomo o donna.

Uno dei tanti misteri rimasti senza un perchè di questa vicenda. E che la sentenza di colpevolezza lascia ancora inesorabilmente irrisolti.

Ma relativamente alle agendine c'è un altro mistero: si è sempre parlato della famosa agendina rossa con la scritta 'Lavazza' di proprietà presumiilmente di Pietrino Vanacore che è stata riconsegnata per errore alla famiglia Cesaroni insieme agli altri oggetti di Simonetta.
Per l'accusa sarebbe una prova che il portiere entrò in serata nell'ufficio degli Ostelli scoprendo il cadavere e quindi tentò di telefonare ai responsabili dell'ufficio per avvertirli dell'accaduto, pensando ad un incontro intimo finito in tragedia.

Ma il vero mistero relativo a questa agendina è che mentre le altre due sono agli atti, fotocopiate e registrate, della agendina di Vanacore non ci sono tracce. Tanto che, per stabilire se ci fossero contenuti i numeri di telefono dei responsabili degli Ostelli, la dovettero cercare durante una perquisizione a Monacizzo, dove nel frattempo si era trasferito il portiere (senza peraltro reperirla).

Tutti gli altri fogli, lettere, appunti di Simonetta sono stati fotocopiati e registrati; allora come mai quell'agendina rossa non c'è?

Oltretutto, per quello che ci risulta, l'agendina non comparirebbe in nessuna fotografia scattata in sede di repertazione.

Aggiungiamoci pure che quando Claudio Cesaroni restituì agli investigatori l'agendina rossa dichiarandola non sua, e facendo anche notare che conteneva i numeri di tutti i parenti del Vanacore, nessuno si ricorda più che fine abbia fatto e dove sia finita.

Molto strano. Ma del resto cosa c'è di chiaro e limpido in questa vicenda?

Gabriella Schiavon

giovedì 7 luglio 2011

Le contraddizioni di Volponi

Durante l'inchiesta di questi 20 anni non è stato solo l'atteggiamento agitato e sospetto di Salvatore Volponi, riferito da più di un teste, a riempire di ombre e interrogativi la sua posizione nella vicenda.
Ci sono state anche delle contraddizioni nelle sue stesse dichiarazioni rese durante questi lunghi anni.

Ne vogliamo evidenziare due. La prima riguarda l'ultima volta che avrebbe incontrato Simonetta da viva. E' una dichiarazione data al processo, ripetuta anche all'interno del suo libro sulla "Io, via Poma e Simonetta":
Avv. Loria: Quand'è che ha visto Simonetta l'ultima volta da viva?
Volponi: la... diciamo nella... nella mattinata del 7... nella prima mattinata... dovevamo fare un piano per tutte le cose che c'erano da fare.

Ma dalle prime dichiarazioni del 1990 (verbali dell'8-8-1990, 14-8-1990) risulta invece che si incontrarono il lunedì mattina, non il martedì, tanto che specificò pure che passò tutto il martedì mattina con il dentista ed il medico di famiglia.

Loria contesta questa contraddizione al Processo, ma Volponi dice di non ricordarsi.

Invece si ricorda benissimo di una circostanza, citata pure nel libro:
"Non c'è bisogno che venga - disse con voce precisa la ragazza - sono sicura di farcela. Me
la sono sempre cavata da sola, non capisco perché oggi dovrei avere bisogno dell'aiuto di
qualcuno".
"Posso dettarle i dati delle fatture per fare prima" - dissi.
"No, dottor Volponi, non si scomodi, le ripeto, posso tranquillamente farcela da sola - rispose decisa la ragazza".
Insistetti di nuovo per vedere la sua reazione, ma lei, con voce infastidita e decisa mi fece capire che sarebbe stato meglio che non fossi andato in ufficio quel giorno.
Restammo intesi che in ogni caso mi avrebbe telefonato alle 18,20.
Mi chiederò per sempre il perché di quella risposta!
Perché Simonetta non voleva che andassi in ufficio a via Poma? Perché tanta resistenza? Chi aspettava Simonetta? A chi aveva dato appuntamento in quell'ufficio?".

E ripetuta al processo:
"Guardi, io soltanto mi ricordo una cosa precisa, quando io insisevo per dire: "Ma vuole una mano, che gli dia... l'accompagno... una mano, vuole che finiamo... così finiamo il lavoro", destra e sinistra, la IRREMOVIBILITA' di Simonetta A NON FARMI ANDARE".

Questo è un punto importante perchè ha favorito l'avvalorarsi della tesi secondo la quale Simonetta VOLEVA restare da sola a via Poma per incontrare il fidanzato, l'attuale imputato Raniero Busco. In un ufficio estraneo che frequentava solo da poco più di un mese. Con la incredibile sicurezza che nessuno degli altri dipendenti sarebbe passato nel pomeriggio, per un qualsiasi motivo.

Ma pure questo non corrisponde a quanto dichiarato nei primi verbali.
Il 29 agosto 1990 infatti Volponi afferma:
"Non dissi mai a Simonetta che non sarei andato martedì pomeriggio nell'ufficio degli ostelli. Per quanto mi consta Simonetta era rimasta che doveva telefonarmi o che mi avrebbe visto passare presso gli ostelli".

Perchè queste contraddizioni? Perchè questa vicenda è piena di personaggi che, con la scusa del lungo tempo trascorso, cambiano versioni e orari a proprio piacimento?
E' veramente colpa della memoria o ci si adegua per convenienza alla tesi accusatoria di turno?

Gabriella Schiavon

giovedì 30 giugno 2011

Uscita nelle librerie del libro: 'Al di là di ogni ragionevole dubbio. Il racconto di via Poma'

Esce oggi il libro di Raffaella Fanelli e Roberta Milletarì, edito da Aliberti:

Al di là di ogni ragionevole dubbio.Il racconto di via Poma



Il libro di una tragica vicenda familiare. Ma è anche una raccolta delle tante, troppe domande rimaste ancora senza risposta. E che apre a nuovi inquietanti scenari sul delitto di via Poma.

martedì 28 giugno 2011

Oggi: Segatura sui calzini di Simonetta Qualcuno ha pulito l'ufficio Aiag

Raniero Busco è colpevole in Primo grado dell'omicidio di Simonetta Cesaroni, ma un libro scritto (anche) dalla moglie insinua nuovi dubbi. Ecco i particolari.

«C’ERA SEGATURA SUI CALZINI DI SIMONETTA CESARONI»

I calzini di Simonetta Cesaroni presentavano la presenza di trucioli di segatura. Lo rivela il settimanale Oggi che trovate in edicola, nell’anticipazione del libro “Al di là di ogni ragionevole dubbio”, edito da Aliberti e scritto dalla giornalista Raffaella Fanelli e da Roberta Milletarì, moglie di Raniero Busco, condannato in primo grado per l’omicidio.

Il dettaglio, contenuto nella perizia della Procura ma sfuggito a tutte le parti processuali, potrebbe smentire l’intera l’ipotesi accusatoria sulla dinamica dell’omicidio.

Per spiegare l’assenza di sangue attorno al cadavere della Cesaroni fu infatti sostenuto che il corpo fece da «otre», riassorbendo il proprio sangue. Al contrario la segatura, che non risulta fosse presente negli uffici dove fu uccisa la ragazza, presuppone un’opera di pulizia.

ECCO IL FOGLIO PRESENZE DI BUSCO CHE SMENTISCE L’ACCUSA

Nel libro emerge un altro particolare importante, anticipato da Oggi. Si tratta del foglio, in originale, delle presenze in Alitalia di Raniero Busco. Il dettaglio smentisce la ricostruzione fornita dai giudici secondo i quali Busco incontrò Simonetta Cesaroni il 7 agosto, data del delitto, perché il giorno successivo sarebbe dovuto partire per la Sardegna. In realtà il foglio presenze registra come le ferie dell’ex fidanzato di Simonetta cominciarono solo il giorno 17 agosto.

SPUNTA IL MEMORIALE DI PORCARI, UOMO VICINO AI SERVIZI

IN “Al di là di ogni ragionevole dubbio” si riportano anche alcune lettere di Luciano Porcari, uomo vicino ai servizi segreti, che ha dichiarato di aver avuto contatti con un ufficio dei servizi con base nella scala B della palazzina di via Poma.

In una di queste, inviate alla giornalista Raffaella Fanelli, Porcari scrive: «C’era un ufficio dei servizi segreti, più che un ufficio… un gabbiotto… nel cortile interno, sul lato destro, accanto alla palazzina B, lì facevano i contratti per il traffico di armi e gli aiuti umanitari… era Simonetta a scrivere quei contratti, c’erano due agenti dei servizi entrambi interessati alla ragazza… di loro farò i nomi, se sarò chiamato in Corte d’appello».

La difesa di Busco chiederà in Appello di sentire il Porcari.


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venerdì 24 giugno 2011

Reticenze insospettabili

Si è soliti dire che molti dei testimoni sentiti al processo sono apparsi reticenti o comunque poco collaborativi, così da inficiare le speranze di molti che il dibattimento potesse far emergere risvolti clamorosi, o quantomeno chiarificatori di alcuni dei misteri che avvolgono il delitto.

Viene da domandarsi, però, se sia tutta colpa dei testimoni e non anche di una platea di avvocati, di entrambe le parti, che non si è particolarmente prodigata in domande pertinenti e insidiose.

Si guardi al caso delle telefonate a Tarano che, per dirla alla moda del PM, innescano la “catena causale che procede in parallelo”
PM, avvocati di parte civile e della difesa hanno sostanzialmente condiviso, sia pure con intendimenti diversi, la tesi che il telefonista fu Vanacore, ma non si può dire che in dibattimento si siano sforzati di dimostrarlo.
Anzi è parso persino che per timore di evidenze contrarie, abbiano fatto di tutto per evitare di vedersi sbriciolare sotto i piedi la loro teoria preferita.
Vediamo un po’ quante cose si è voluto NON CHIARIRE

Cominciamo dalla famosa agenda Lavazza che per errore finisce riconsegnata a Claudio Cesaroni e che il PM deduce fosse stata dimenticata da Vanacore sulla scrivania di Simonetta.

Nessuno chiede ai poliziotti intervenuti quella notte se l’avevano vista
Nessuno lo chiede a Del Greco e Cavaliere, responsabili delle indagini
Nessuno lo chiede a Catalani.
Nessuno esamina le fotografie delle scrivanie, pure disponibili, ma che disgraziatamente non inquadrano l’agenda.
Nessuno vuol sapere che quasi sicuramente l’agendina fu sequestrata in casa Vanacore e che con ogni probabilità gli inquirenti, in cerca di raffronti, mischiarono maldestramente le agende di Simonetta e quelle del portiere sospettato di omicidio.

Poi abbiamo le chiavi dal nastrino giallo che M.L.Sibilia disse, stando all’accusa, che stavano appese ad un chiodo vicino alla porta di ingresso.
Balle, perché quando possiamo finalmente disporre dei vecchi verbali viene fuori che M.L.Sibilia disse in realtà “per un breve periodo di tempo

Infine, la cosa più importante: l’esistenza di un rapporto fiduciario fra Vanacore e Caracciolo così intenso da giustificare il possesso del recapito telefonico della casa di Tarano.
Nessuno chiede alla De Luca quali fossero i rapporti fra il marito e l’avvocato.
Nessuno chiede agli impiegati aiag, ai portieri di via Poma (anche gli altri), se mai videro nei paraggi il claudicante e riconoscibilissimo Mario Macinati, posto che la procura ha voluto piazzarlo a Via Poma per fare dei lavoretti e prenderci i caffè.
Soprattutto nessuno, e la cosa ha dell’incredibile, chiede a Caracciolo se conosceva Vanacore e gli aveva mai consegnato il recapito di campagna.

Ad un tratto il Giudice Canale ha un sobbalzo ed osa chiedere all’investigatrice di fiducia del PM, Flora De Angelis, cosa si è saputo di questa agenda e, soprattutto, quali nomi contenesse.
Ci siamo, perché gli investigatori a 360 gradi a cui nulla è sfuggito, ne avevano di persone a cui chiederlo. Una valanga di poliziotti ha maneggiato i reperti e non può credersi che nessuno esaminò il contenuto dell’agenda. Neppure può credersi che l’infortunio dello scambio di reperti emerso alla riconsegna da parte del papà di Simonetta, sia sfuggito agli inquirenti.
Il momento è topico. Tutti attendono di sapere dal maresciallo quali testi ha sentito, cosa gli hanno riferito, compresi i “non ricordo”.

Ma l’impareggiabile maresciallo non ha sentito nessuno, e manco ha pensato fosse importante.
Non gli resta che dire: “Si son perse le tracce”.

Anche dell’assassino, che forse telefonò a Tarano, si son perse le tracce!

Bruno Arnolfo

domenica 12 giugno 2011

Il sangue sulla scena del crimine

Raniero Busco è stato condannato in primo grado di guidizio per la presenza del suo DNA sugli indumenti della vittima e per la presunta contestualità di questo suo DNA, dedotta dalla presenza di un presunto morso sul seno della vittima.

Questi erano i temi delle prime 2 perizie discusse in tribunale (DNA indumenti e compatibilità dentaria). Ma le perizie presentate dall'accusa erano in realtà 3.
I risultati di questa perizia non hanno costituito un caposaldo della sentenza, e sono state relegate in fondo alle motivazioni, come elementi marginali.

Ma vorremmo riprendere questi elementi perchè riteniamo che contengano importanti dettagli proprio a sostegno della tesi difensiva.

Tracce di sangue erano state rinvenute nel 1990 sulla porta della stanza dove è stato ritrovato il cadavere della ragazza; quella stanza è ritenuta anche lo stesso luogo dell'omicidio.
Su questa porta c'erano copiose tracce di sangue sul lato interno (reperto 12c) e uno sbaffo sempre di sangue sul lato esterno (reperto 12b).

La terza perizia riguardava le analisi condotte dai RIS sul reperto 12b. Tale reperto consisteva in un tassello ritagliato dalla porta contenente lo sbaffo di sangue di quantità infinitesimale (si parla solo di alcuni picogrammi).
Il resto della porta (quello con abbondanti tracce di sangue sul lato interno) non si sa bene che fine abbia fatto, pare che non sia stato più utilizzabile a causa di alcuni prelievi svolti in maniera non regolare.

Le conclusioni di questa perizia le leggiamo dalla trascrizione del perito dei RIS Maggiore Pizzamiglio:
"Sulla traccia sbaffo c'era un profilo quasi completo solo riferibile alla vittima... con forse una piccolissima quantità di materiale maschile...
La componente maggioritaria è senza alcun dubbio riferibile alla vittima e ce ne è una
largamente minoritaria invece dove ci potrebbe essere del materiale genetico maschile"

Si analizza questa traccia e si compara con alcune delle persone a vario titolo coinvolte nella vicenda. Non c'è alcuna concordanza diretta (e ci pare ovvio dato che il sangue appartiene per intero o quasi alla vittima), ma svolgendo degli esami di tipo sperimentale, amplificando il segnale della traccia mediante kit innovativi che però ammettono degli errori dovuti all'effetto stocastico, i Ris ci dicono che sono in grado di escludere la compatibilità con tutti gli individui trattati, tranne che con Busco perchè nelle 8 amplificazioni effettuate "alcuni picchi erano riferibili con una certa riproducibilità all'imputato".

Si procede poi con un altro esperimento:
"Abbiamo preso del DNA sicuramente riferibile alla vittima, del DNA sicuramente riferibile all'indagato, li abbiamo diluiti moltissimo e li abbiamo mescolati insieme e poi abbiamo visto cosa succedeva, cercando di ricreare una situazione analoga a quella del reperto."

Questo tipo di esperimento viene fatto solo con il sangue dell'imputato, non con gli altri individui.

Allora sulla metodologia della mescola interviene anche il perito Prof. Pascali:
"La traccia del tassello della porta è una traccia che apparentemente contiene 3 persone... Un altro aspetto della questione che voglio sottolineare è il seguente: non ho partecipato alla seconda parte di questa consulenza tecnica anche perchè avrei suggerito un'altra cosa e cioè che a fare le mescole sperimentali potevano forse essere diciamo chiamati anche i DNA degli altri imputati che erano stati esclusi solo dalla prima fase delle analisi. Questo aveva molta importanza, agli effetti del rendere chiaro e molto affidabile una parte dell'affermazione del Maggiore Pizzamiglio, che gli altri sono chiaramente esclusi, mentre Busco non lo è."

Inoltre su questa perizia si era pronunciata nel 2008 anche la Prof. Lareu dell' Istituto di Medicina Legale di Santiago de Copostela, considerata la maggior esperta sul tema in questione, la cui conclusione è:
"Non possiamo confermare nè scartare la presenza del profilo genetico della persona sospetta Busco Raniero per cui l'analisi, ai sensi del nostro protocollo di interpretazione è considerata come NON CONCLUDENTE".

Per fortuna non è stato fatto un ulteriore torto all'imputato considerando come elemento a
sfavore i risultati di questa perizia, ed infatti la conclusione della sentenza è:
"Cio detto, a parere della Corte, le risultanze dei citati ulteriori accertamenti tecnici, (...) devono ritenersi ininfluenti rispetto al compendio probatorio acquisito."

Ritorneremo su questa frase in seguito analizzando anche la parte contenuta tra parentesi.

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Abbiamo detto che oltre al reperto sbaffo-tassello 12b, c'erano molteplici e visibili tracce anche dal lato interno della porta (reperto 12c). E qui vogliamo indirizzare l' attenzione del lettore.

Sentiamo come viene introdotto questo reperto nella prima parte della sentenza:
"Di particolare interesse, nell'ambito del secondo procedimento, erano stati gli accertamenti sul DNA presente sulle tracce di sangue rinvenute sui lati esterno e interno della porta della stanza e sulla maniglia della porta. I periti avevano accertato che le tracce di sangue erano di gruppo A, GM a+ b+ DQ alfa 4/4."

In particolare:
"Il reperto 12c (porzione di cotone): gruppo sanguigno di tipo A, pur se a detta degli stessi periti, la presenza di un'agglutinazione per il gruppo B, non appariva valutabile per l'esiguità della traccia. Determinazione del sesso riconducibile a materiale maschile, con una evidente e netta sproporzione tra l'intensità delle bande X e Y. La banda delle X (corrispondente al cromosoma femminile) appare infatti molto più abbondante rispetto alla Y (cromosoma maschile) con una fluorescenza almeno 10 volte superiore".

Si spiega in sostanza che questo sangue è una commistione di sangue della vittima con questo altro sangue di gruppo A maschile.

Leggiamo cosa dice a riguardo anche il Maggiore Pizzamiglio:
"Un primo gruppo di analisi aveva verificato che la maggior parte delle tracce ematiche rinvenute sul luogo del reato erano riferibili alla vittima... invece l'unico gruppo sanguigno non supportato dalle analisi genetiche era sulla porta, dove era stato trovato un fenotipo A... oltre a questo fenotipo A sulla porta , lo si è trovato anche sul telefono...
L'altro problema grosso riguarda questo gruppo A che è stato trovato, dove i periti a un certo punto dicono che appunto c'era il gruppo A, allele 1.1/4, stabiliscono che c'è questa componente maschile."

Uteriori dettagli ce li dà il Prof. Pascali su richiesta dell'avvocato della difesa:
Avv. Loria: "La prima domanda è per il Prof. Pascali, e mi rifaccio alla consulenza da lei effettuata nel '91. Lei ha esaminato il sangue sul lato interno della porta. Lei ha rilevato un sangue di gruppo A. Corrisponde?"
Pascali: "Sì, l'affermazione completa è: 'le tracce provenienti dalla porta sono di gruppo A, gruppo Gm A positivo e gruppo DQ Alfa 1.1/4' e sono di sesso maschile."

Il fatto davvero decisivo (come ci testimonia lo stesso Pizzamiglio e la stessa PM Calò) è che anche su un telefono dell'ufficio vengono rinvenute tracce di sangue di gruppo A.
Telefono che durante questi anni SPARISCE (ce lo conferma la stessa PM Ilaria Calò) e quindi non è più utilizzabile per le analisi.

Quindi, ricapitolando TELEFONO SPARITO, PORTA lato interno NON PIU' UTILIZZABILE per le analisi.

Ora avviene una cosa francamente inspiegabile. Queste analisi, che pure stanno agli atti e qualcosa suggeriscono pure al buon senso di chi le ha vagliate, vengono MINIMIZZATE e
RIDOTTE al NULLA dai periti dell'accusa e dallo stesso estensore della sentenza.

Cominciamo dalla sentenza:
"Circa quest'ultima traccia, la presenza di materiale maschile potrebbe ricondursi ad una sovrapposizione di fluidi biologici sangue/sudore, legata alla stessa azione tamponante esercitata per il prelevamento delle diverse striature ematiche, in un'area della porta contigua alla maniglia, il ché avrebbe comportato l'asportazione di tracce biologiche pregresse, indipendenti dall'omicidio...
Ciò detto, a parere della Corte, le tracce ematiche di gruppo A sulla parte interna della porta e sulla tastiera del telefono devono ritenersi ininfluenti rispetto al compendio probatorio acquisito. Ed in particolare, sia per la traccia interna sulla porta (prelevata unendo insieme la traccia presente sulla porta e quella presente sulla maniglia), sia per la traccia sulla tastiera del telefono, non possono escludersi, ma anzi devono ritenersi probabili, fenomeni di contaminazione, trattandosi di oggetti naturalmente destinati ad essere toccati da altre persone".

Questa la conlusione da parte del perito L. Garofano:
"In tale quadro non può comunque escludersi che la limitatissima componente maschile rinvenuta su questo materiale possa ricondursi a tracce pregresse, già presenti sulla porta, ovvero una possibile contaminazione nel corso dei prelievi...
In realtà gran parte del sangue era della vittima, ma su quella porta, sia nella parte interna che nella parte esterna, c'era un gruppo 0, poi c'era anche un gruppo di fenotipo A e fu trovato sia materiale appartenente alla vittima, ma anche un misto, su cui si discusse molto. Tralascio questa parte, perchè è storia ormai passata e direi anche non più affidabile."

Francamente queste conclusioni non sono convincenti, anche per chi non è un esperto di sangue.
Un conto è un'analisi sul DNA che tratta qualsiasi elemento organico (sudore, saliva, urine, capelli, sperma, ecc.) e che quindi può essere soggetta a contaminazioni precedenti o successive. Viceversa l'analisi del gruppaggio si fa su SANGUE (e stiamo parlando di analisi effettuate nel 1990). Parlare di contaminazioni significa presupporre che su quella porta e sul quel telefono c'erano tracce di sangue precedenti al momento dell'omicidio.

Vi proponiamo la foto delle tracce presenti sul lato interno della porta affinchè vi possiate fare un'idea personale.



In più di un'occasione si attesta la tesi accusatoria argomentando con un secco: "L'unico DNA presente sulla scena dell'omicidio appartiene all'imputato".

Perchè non si prende in considerazione anche questa prova macroscopica?

Secondo la ricostruzione dell'accusa, prima del ritrovamento del cadavere, in quell'appartamento entrarono solo 3 persone: la vittima, Raniero Busco e forse Petrino Vanacore.
Tutti e 3 soggetti con gruppo sanguigno 0.

Di chi era allora il sangue di gruppo A maschile?

Gabriella Schiavon