giovedì 30 giugno 2011

Uscita nelle librerie del libro: 'Al di là di ogni ragionevole dubbio. Il racconto di via Poma'

Esce oggi il libro di Raffaella Fanelli e Roberta Milletarì, edito da Aliberti:

Al di là di ogni ragionevole dubbio.Il racconto di via Poma



Il libro di una tragica vicenda familiare. Ma è anche una raccolta delle tante, troppe domande rimaste ancora senza risposta. E che apre a nuovi inquietanti scenari sul delitto di via Poma.

martedì 28 giugno 2011

Oggi: Segatura sui calzini di Simonetta Qualcuno ha pulito l'ufficio Aiag

Raniero Busco è colpevole in Primo grado dell'omicidio di Simonetta Cesaroni, ma un libro scritto (anche) dalla moglie insinua nuovi dubbi. Ecco i particolari.

«C’ERA SEGATURA SUI CALZINI DI SIMONETTA CESARONI»

I calzini di Simonetta Cesaroni presentavano la presenza di trucioli di segatura. Lo rivela il settimanale Oggi che trovate in edicola, nell’anticipazione del libro “Al di là di ogni ragionevole dubbio”, edito da Aliberti e scritto dalla giornalista Raffaella Fanelli e da Roberta Milletarì, moglie di Raniero Busco, condannato in primo grado per l’omicidio.

Il dettaglio, contenuto nella perizia della Procura ma sfuggito a tutte le parti processuali, potrebbe smentire l’intera l’ipotesi accusatoria sulla dinamica dell’omicidio.

Per spiegare l’assenza di sangue attorno al cadavere della Cesaroni fu infatti sostenuto che il corpo fece da «otre», riassorbendo il proprio sangue. Al contrario la segatura, che non risulta fosse presente negli uffici dove fu uccisa la ragazza, presuppone un’opera di pulizia.

ECCO IL FOGLIO PRESENZE DI BUSCO CHE SMENTISCE L’ACCUSA

Nel libro emerge un altro particolare importante, anticipato da Oggi. Si tratta del foglio, in originale, delle presenze in Alitalia di Raniero Busco. Il dettaglio smentisce la ricostruzione fornita dai giudici secondo i quali Busco incontrò Simonetta Cesaroni il 7 agosto, data del delitto, perché il giorno successivo sarebbe dovuto partire per la Sardegna. In realtà il foglio presenze registra come le ferie dell’ex fidanzato di Simonetta cominciarono solo il giorno 17 agosto.

SPUNTA IL MEMORIALE DI PORCARI, UOMO VICINO AI SERVIZI

IN “Al di là di ogni ragionevole dubbio” si riportano anche alcune lettere di Luciano Porcari, uomo vicino ai servizi segreti, che ha dichiarato di aver avuto contatti con un ufficio dei servizi con base nella scala B della palazzina di via Poma.

In una di queste, inviate alla giornalista Raffaella Fanelli, Porcari scrive: «C’era un ufficio dei servizi segreti, più che un ufficio… un gabbiotto… nel cortile interno, sul lato destro, accanto alla palazzina B, lì facevano i contratti per il traffico di armi e gli aiuti umanitari… era Simonetta a scrivere quei contratti, c’erano due agenti dei servizi entrambi interessati alla ragazza… di loro farò i nomi, se sarò chiamato in Corte d’appello».

La difesa di Busco chiederà in Appello di sentire il Porcari.


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venerdì 24 giugno 2011

Reticenze insospettabili

Si è soliti dire che molti dei testimoni sentiti al processo sono apparsi reticenti o comunque poco collaborativi, così da inficiare le speranze di molti che il dibattimento potesse far emergere risvolti clamorosi, o quantomeno chiarificatori di alcuni dei misteri che avvolgono il delitto.

Viene da domandarsi, però, se sia tutta colpa dei testimoni e non anche di una platea di avvocati, di entrambe le parti, che non si è particolarmente prodigata in domande pertinenti e insidiose.

Si guardi al caso delle telefonate a Tarano che, per dirla alla moda del PM, innescano la “catena causale che procede in parallelo”
PM, avvocati di parte civile e della difesa hanno sostanzialmente condiviso, sia pure con intendimenti diversi, la tesi che il telefonista fu Vanacore, ma non si può dire che in dibattimento si siano sforzati di dimostrarlo.
Anzi è parso persino che per timore di evidenze contrarie, abbiano fatto di tutto per evitare di vedersi sbriciolare sotto i piedi la loro teoria preferita.
Vediamo un po’ quante cose si è voluto NON CHIARIRE

Cominciamo dalla famosa agenda Lavazza che per errore finisce riconsegnata a Claudio Cesaroni e che il PM deduce fosse stata dimenticata da Vanacore sulla scrivania di Simonetta.

Nessuno chiede ai poliziotti intervenuti quella notte se l’avevano vista
Nessuno lo chiede a Del Greco e Cavaliere, responsabili delle indagini
Nessuno lo chiede a Catalani.
Nessuno esamina le fotografie delle scrivanie, pure disponibili, ma che disgraziatamente non inquadrano l’agenda.
Nessuno vuol sapere che quasi sicuramente l’agendina fu sequestrata in casa Vanacore e che con ogni probabilità gli inquirenti, in cerca di raffronti, mischiarono maldestramente le agende di Simonetta e quelle del portiere sospettato di omicidio.

Poi abbiamo le chiavi dal nastrino giallo che M.L.Sibilia disse, stando all’accusa, che stavano appese ad un chiodo vicino alla porta di ingresso.
Balle, perché quando possiamo finalmente disporre dei vecchi verbali viene fuori che M.L.Sibilia disse in realtà “per un breve periodo di tempo

Infine, la cosa più importante: l’esistenza di un rapporto fiduciario fra Vanacore e Caracciolo così intenso da giustificare il possesso del recapito telefonico della casa di Tarano.
Nessuno chiede alla De Luca quali fossero i rapporti fra il marito e l’avvocato.
Nessuno chiede agli impiegati aiag, ai portieri di via Poma (anche gli altri), se mai videro nei paraggi il claudicante e riconoscibilissimo Mario Macinati, posto che la procura ha voluto piazzarlo a Via Poma per fare dei lavoretti e prenderci i caffè.
Soprattutto nessuno, e la cosa ha dell’incredibile, chiede a Caracciolo se conosceva Vanacore e gli aveva mai consegnato il recapito di campagna.

Ad un tratto il Giudice Canale ha un sobbalzo ed osa chiedere all’investigatrice di fiducia del PM, Flora De Angelis, cosa si è saputo di questa agenda e, soprattutto, quali nomi contenesse.
Ci siamo, perché gli investigatori a 360 gradi a cui nulla è sfuggito, ne avevano di persone a cui chiederlo. Una valanga di poliziotti ha maneggiato i reperti e non può credersi che nessuno esaminò il contenuto dell’agenda. Neppure può credersi che l’infortunio dello scambio di reperti emerso alla riconsegna da parte del papà di Simonetta, sia sfuggito agli inquirenti.
Il momento è topico. Tutti attendono di sapere dal maresciallo quali testi ha sentito, cosa gli hanno riferito, compresi i “non ricordo”.

Ma l’impareggiabile maresciallo non ha sentito nessuno, e manco ha pensato fosse importante.
Non gli resta che dire: “Si son perse le tracce”.

Anche dell’assassino, che forse telefonò a Tarano, si son perse le tracce!

Bruno Arnolfo

domenica 12 giugno 2011

Il sangue sulla scena del crimine

Raniero Busco è stato condannato in primo grado di guidizio per la presenza del suo DNA sugli indumenti della vittima e per la presunta contestualità di questo suo DNA, dedotta dalla presenza di un presunto morso sul seno della vittima.

Questi erano i temi delle prime 2 perizie discusse in tribunale (DNA indumenti e compatibilità dentaria). Ma le perizie presentate dall'accusa erano in realtà 3.
I risultati di questa perizia non hanno costituito un caposaldo della sentenza, e sono state relegate in fondo alle motivazioni, come elementi marginali.

Ma vorremmo riprendere questi elementi perchè riteniamo che contengano importanti dettagli proprio a sostegno della tesi difensiva.

Tracce di sangue erano state rinvenute nel 1990 sulla porta della stanza dove è stato ritrovato il cadavere della ragazza; quella stanza è ritenuta anche lo stesso luogo dell'omicidio.
Su questa porta c'erano copiose tracce di sangue sul lato interno (reperto 12c) e uno sbaffo sempre di sangue sul lato esterno (reperto 12b).

La terza perizia riguardava le analisi condotte dai RIS sul reperto 12b. Tale reperto consisteva in un tassello ritagliato dalla porta contenente lo sbaffo di sangue di quantità infinitesimale (si parla solo di alcuni picogrammi).
Il resto della porta (quello con abbondanti tracce di sangue sul lato interno) non si sa bene che fine abbia fatto, pare che non sia stato più utilizzabile a causa di alcuni prelievi svolti in maniera non regolare.

Le conclusioni di questa perizia le leggiamo dalla trascrizione del perito dei RIS Maggiore Pizzamiglio:
"Sulla traccia sbaffo c'era un profilo quasi completo solo riferibile alla vittima... con forse una piccolissima quantità di materiale maschile...
La componente maggioritaria è senza alcun dubbio riferibile alla vittima e ce ne è una
largamente minoritaria invece dove ci potrebbe essere del materiale genetico maschile"

Si analizza questa traccia e si compara con alcune delle persone a vario titolo coinvolte nella vicenda. Non c'è alcuna concordanza diretta (e ci pare ovvio dato che il sangue appartiene per intero o quasi alla vittima), ma svolgendo degli esami di tipo sperimentale, amplificando il segnale della traccia mediante kit innovativi che però ammettono degli errori dovuti all'effetto stocastico, i Ris ci dicono che sono in grado di escludere la compatibilità con tutti gli individui trattati, tranne che con Busco perchè nelle 8 amplificazioni effettuate "alcuni picchi erano riferibili con una certa riproducibilità all'imputato".

Si procede poi con un altro esperimento:
"Abbiamo preso del DNA sicuramente riferibile alla vittima, del DNA sicuramente riferibile all'indagato, li abbiamo diluiti moltissimo e li abbiamo mescolati insieme e poi abbiamo visto cosa succedeva, cercando di ricreare una situazione analoga a quella del reperto."

Questo tipo di esperimento viene fatto solo con il sangue dell'imputato, non con gli altri individui.

Allora sulla metodologia della mescola interviene anche il perito Prof. Pascali:
"La traccia del tassello della porta è una traccia che apparentemente contiene 3 persone... Un altro aspetto della questione che voglio sottolineare è il seguente: non ho partecipato alla seconda parte di questa consulenza tecnica anche perchè avrei suggerito un'altra cosa e cioè che a fare le mescole sperimentali potevano forse essere diciamo chiamati anche i DNA degli altri imputati che erano stati esclusi solo dalla prima fase delle analisi. Questo aveva molta importanza, agli effetti del rendere chiaro e molto affidabile una parte dell'affermazione del Maggiore Pizzamiglio, che gli altri sono chiaramente esclusi, mentre Busco non lo è."

Inoltre su questa perizia si era pronunciata nel 2008 anche la Prof. Lareu dell' Istituto di Medicina Legale di Santiago de Copostela, considerata la maggior esperta sul tema in questione, la cui conclusione è:
"Non possiamo confermare nè scartare la presenza del profilo genetico della persona sospetta Busco Raniero per cui l'analisi, ai sensi del nostro protocollo di interpretazione è considerata come NON CONCLUDENTE".

Per fortuna non è stato fatto un ulteriore torto all'imputato considerando come elemento a
sfavore i risultati di questa perizia, ed infatti la conclusione della sentenza è:
"Cio detto, a parere della Corte, le risultanze dei citati ulteriori accertamenti tecnici, (...) devono ritenersi ininfluenti rispetto al compendio probatorio acquisito."

Ritorneremo su questa frase in seguito analizzando anche la parte contenuta tra parentesi.

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Abbiamo detto che oltre al reperto sbaffo-tassello 12b, c'erano molteplici e visibili tracce anche dal lato interno della porta (reperto 12c). E qui vogliamo indirizzare l' attenzione del lettore.

Sentiamo come viene introdotto questo reperto nella prima parte della sentenza:
"Di particolare interesse, nell'ambito del secondo procedimento, erano stati gli accertamenti sul DNA presente sulle tracce di sangue rinvenute sui lati esterno e interno della porta della stanza e sulla maniglia della porta. I periti avevano accertato che le tracce di sangue erano di gruppo A, GM a+ b+ DQ alfa 4/4."

In particolare:
"Il reperto 12c (porzione di cotone): gruppo sanguigno di tipo A, pur se a detta degli stessi periti, la presenza di un'agglutinazione per il gruppo B, non appariva valutabile per l'esiguità della traccia. Determinazione del sesso riconducibile a materiale maschile, con una evidente e netta sproporzione tra l'intensità delle bande X e Y. La banda delle X (corrispondente al cromosoma femminile) appare infatti molto più abbondante rispetto alla Y (cromosoma maschile) con una fluorescenza almeno 10 volte superiore".

Si spiega in sostanza che questo sangue è una commistione di sangue della vittima con questo altro sangue di gruppo A maschile.

Leggiamo cosa dice a riguardo anche il Maggiore Pizzamiglio:
"Un primo gruppo di analisi aveva verificato che la maggior parte delle tracce ematiche rinvenute sul luogo del reato erano riferibili alla vittima... invece l'unico gruppo sanguigno non supportato dalle analisi genetiche era sulla porta, dove era stato trovato un fenotipo A... oltre a questo fenotipo A sulla porta , lo si è trovato anche sul telefono...
L'altro problema grosso riguarda questo gruppo A che è stato trovato, dove i periti a un certo punto dicono che appunto c'era il gruppo A, allele 1.1/4, stabiliscono che c'è questa componente maschile."

Uteriori dettagli ce li dà il Prof. Pascali su richiesta dell'avvocato della difesa:
Avv. Loria: "La prima domanda è per il Prof. Pascali, e mi rifaccio alla consulenza da lei effettuata nel '91. Lei ha esaminato il sangue sul lato interno della porta. Lei ha rilevato un sangue di gruppo A. Corrisponde?"
Pascali: "Sì, l'affermazione completa è: 'le tracce provenienti dalla porta sono di gruppo A, gruppo Gm A positivo e gruppo DQ Alfa 1.1/4' e sono di sesso maschile."

Il fatto davvero decisivo (come ci testimonia lo stesso Pizzamiglio e la stessa PM Calò) è che anche su un telefono dell'ufficio vengono rinvenute tracce di sangue di gruppo A.
Telefono che durante questi anni SPARISCE (ce lo conferma la stessa PM Ilaria Calò) e quindi non è più utilizzabile per le analisi.

Quindi, ricapitolando TELEFONO SPARITO, PORTA lato interno NON PIU' UTILIZZABILE per le analisi.

Ora avviene una cosa francamente inspiegabile. Queste analisi, che pure stanno agli atti e qualcosa suggeriscono pure al buon senso di chi le ha vagliate, vengono MINIMIZZATE e
RIDOTTE al NULLA dai periti dell'accusa e dallo stesso estensore della sentenza.

Cominciamo dalla sentenza:
"Circa quest'ultima traccia, la presenza di materiale maschile potrebbe ricondursi ad una sovrapposizione di fluidi biologici sangue/sudore, legata alla stessa azione tamponante esercitata per il prelevamento delle diverse striature ematiche, in un'area della porta contigua alla maniglia, il ché avrebbe comportato l'asportazione di tracce biologiche pregresse, indipendenti dall'omicidio...
Ciò detto, a parere della Corte, le tracce ematiche di gruppo A sulla parte interna della porta e sulla tastiera del telefono devono ritenersi ininfluenti rispetto al compendio probatorio acquisito. Ed in particolare, sia per la traccia interna sulla porta (prelevata unendo insieme la traccia presente sulla porta e quella presente sulla maniglia), sia per la traccia sulla tastiera del telefono, non possono escludersi, ma anzi devono ritenersi probabili, fenomeni di contaminazione, trattandosi di oggetti naturalmente destinati ad essere toccati da altre persone".

Questa la conlusione da parte del perito L. Garofano:
"In tale quadro non può comunque escludersi che la limitatissima componente maschile rinvenuta su questo materiale possa ricondursi a tracce pregresse, già presenti sulla porta, ovvero una possibile contaminazione nel corso dei prelievi...
In realtà gran parte del sangue era della vittima, ma su quella porta, sia nella parte interna che nella parte esterna, c'era un gruppo 0, poi c'era anche un gruppo di fenotipo A e fu trovato sia materiale appartenente alla vittima, ma anche un misto, su cui si discusse molto. Tralascio questa parte, perchè è storia ormai passata e direi anche non più affidabile."

Francamente queste conclusioni non sono convincenti, anche per chi non è un esperto di sangue.
Un conto è un'analisi sul DNA che tratta qualsiasi elemento organico (sudore, saliva, urine, capelli, sperma, ecc.) e che quindi può essere soggetta a contaminazioni precedenti o successive. Viceversa l'analisi del gruppaggio si fa su SANGUE (e stiamo parlando di analisi effettuate nel 1990). Parlare di contaminazioni significa presupporre che su quella porta e sul quel telefono c'erano tracce di sangue precedenti al momento dell'omicidio.

Vi proponiamo la foto delle tracce presenti sul lato interno della porta affinchè vi possiate fare un'idea personale.



In più di un'occasione si attesta la tesi accusatoria argomentando con un secco: "L'unico DNA presente sulla scena dell'omicidio appartiene all'imputato".

Perchè non si prende in considerazione anche questa prova macroscopica?

Secondo la ricostruzione dell'accusa, prima del ritrovamento del cadavere, in quell'appartamento entrarono solo 3 persone: la vittima, Raniero Busco e forse Petrino Vanacore.
Tutti e 3 soggetti con gruppo sanguigno 0.

Di chi era allora il sangue di gruppo A maschile?

Gabriella Schiavon

sabato 11 giugno 2011

APPELLO difesa Busco: una perizia sul morso

"Raniero Busco non ha ucciso Simonetta Cesaroni. Le nostre convinzioni non sono state scalfite per nulla dalla sentenza di primo grado. Il giudizio della corte d'assise a nostro avviso e' immotivato. Speriamo che l'appello rimetta le cose a posto".

Per l'avvocato Paolo Loria, difensore dell'ex fidanzato di Simonetta, condannato a 24 anni di carcere per il delitto avvenuto nell'ufficio dell'Aiag, in via Poma, il 7 agosto del '90, la corte d'assise d'appello di Roma dovra' "rinnovare parzialmente il dibattimento" disponendo, in particolare, una perizia sulla dentatura di Busco.

"Raniero e' stato ritenuto colpevole - ha spiegato il penalista - perche' e' stato riscontrato il suo dna sul corpetto e sul reggiseno della vittima, in misura maggiore in corrispondenza del capezzolo del seno sinistro. Ma la contestualita' tra il morso sul seno e l'evento morte, e l'attribuzione a Busco dell'impronta lasciata dai denti sono dei passaggi logici fatti sulla base di un risultato tecnico che non sta in piedi. Per questo ne chiediamo un altro. Perche' cosi' quell'impronta, a nostro parere, e' sovrapponibile con la dentatura di chiunque.
E non solo con quella di Busco".

Quanto al movente dell'omicidio, per Loria, "non sta ne' in cielo ne' in terra" che l'allora giovane operaio impiegato all'aeroporto di Fiumicino volesse partire da solo per le vacanze estive e che, quindi, i rapporti con l'allora sua fidanzata si fossero guastati. La difesa chiedera', dunque, ai alla corte d'assise d'appello l'acquisizione del foglio presenze dell'epoca affinche' "venga fatta chiarezza":
"Busco fino al 17 di agosto del '90 doveva lavorare".

Per la difesa, poi, non convince la tesi di un incontro amoroso tra Busco e Simonetta in via Poma, poi degenerato tragicamente, sulla base di una telefonata che la vittima ricevette a casa, all'ora di pranzo, prima di recarsi per l'ultima volta negli uffici dell'Aiag:
"Non c'e' nessuna prova che sia stato Busco a chiamare. Cosi' come mancano decine di altre prove nella ricostruzione di quel giorno"
.

La conclusione, per la difesa, e' che la corte d'assise ha sposato l'impostazione accusatoria, anche se frutto di "ipotesi, connessioni, presunzioni totalmente sfornite di prova".

(AGI) Cop
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venerdì 3 giugno 2011

Analisi delle motivazioni - quinta parte

Il movente


Nel tentativo di replicare alle argomentazioni difensive sull’assenza di un movente plausibile in capo a Raniero Busco, il Giudice si produce in una lunga dissertazione attinente il precario rapporto fra i due fidanzati, cercando nelle suggestioni che evocano le lettere scritte da Simonetta gli spunti più proficui alla rappresentazione dell’imputato nella forma più sgradevole possibile.

Non è infatti nelle intenzioni del Giudice descrivere un delitto che matura in un contesto preciso di causa-effetto, ove il movente rappresenta appunto il collante di questo binomio (es: la gelosia scatenata da un tradimento). Viceversa egli intende alludere ad un movente “latente” e non “diretto” dove è la personalità dell’assassino, la sua natura natura greve e insofferente alle pretese affettive della vittima, a prevalere su qualsivoglia movente.

Il coronamento di questa tesi si esprime in questo passaggio:
“Ebbene, ancorché si assuma da parte della difesa che non sia stato individuato alcun movente, lo spaccato dell’infelice rapporto che emerge dalle lettere della ragazza, (non smentito ma minimizzato dai testi), è compatibile con la presenza di BUSCO in via Poma quel pomeriggio”.

Questa incredibile sintesi dove le proposizioni non sono affatto consequenziali, svela, al di là della incoerenza logica (dire che l’infelice rapporto è compatibile con la presenza in via Poma è meno sensato di dire l’esatto contrario) l’intenzione di affrancarsi da ogni movente tradizionale, per cui Busco stava là perché l’occasione della solitudine di Simonetta (appresa al telefono) gli offriva la possibilità di una fugace sveltina da consumare a tutti i costi.

In pratica si vuole sostenere che il contrasto fra la natura sentimentale ma passiva di Simonetta e quella primitiva e prevaricante di Raniero, sia di per sé sufficiente a creare le premesse di un esito fatale.

Una tesi sicuramente poco plausibile, non solo perché la personalità che si vorrebbe imputare all’assassino non corrisponde alla descrizione che gli amici e i colleghi di lavoro fanno dell’imputato. Ma anche perché la storia di Raniero Busco, di genitore e marito, visibile e certa, indica un uomo completamente diverso da quello descritto nelle motivazioni della sentenza.

Allora vien da chiedersi per quale ragione la Corte, pur disponendo del movente fornito dal pubblico ministero, non ha voluto servirsene.

Nella requisitoria della dottoressa Calò, un tentativo di indicare un movente era stato fatto, e per quanto la rappresentazione in aula sia stata piuttosto confusa, il 7 agosto 1990 viene descritto come il giorno del chiarimento, voluto principalmente da Simonetta (a questo scopo avrebbe respinto le insidie di Volponi per poter restare sola) e che sfocia infine in un litigio.

Un movente dunque che affonda le radici nelle dinamiche del 7 agosto e non solamente nell’astratta tesi di una rapporto impossibile che “non poteva che finire così”.

Ebbene, le ragioni per cui la Corte non ha seguito le tesi del PM, sono due:
  1. l’impossibilità totale di provare quali fossero i contenuti del supposto chiarimento e, soprattutto, la gravità che ad essi occorrerebbe imputare (né la pillola né le imminenti vacanze separate offrono un chiaro motivo per un “summit urgente”)
  2. la difficoltà che si avrebbe a comprimere nel medesimo contesto la discussione con litigio e il rapporto sessuale consenziente.
Conscio di queste difficoltà il Giudice ha preferito “liberarsi” degli astratti e indimostrabili teoremi del PM, pretendendo quindi che il contrasto fra la natura sentimentale ma passiva di Simonetta e quella primitiva e prevaricante di Raniero, sia di per sé sufficiente a creare le premesse di un esito fatale.

La Corte non si sottrae soltanto all’indicazione di un movente secondo i canoni tradizionali, ma sfugge anche ad ogni altra spiegazione della dinamica del delitto, in ciò rivelando una condotta elusiva e, in tutta franchezza, inaccettabile.

Si guardi a come descrive il momento cruciale:
“La Corte ritiene che sia di tutta evidenza che durante i preliminari di un approccio consensuale consenziente, la ragazza, ad un certo punto, per i motivi riconducibili allo stato di tensione esistente fra i due, inaspettatamente si è rifiutata di proseguire il rapporto. Il rifiuto probabilmente accompagnato da parole sferzanti ha indotto l’assassino, come reazione, ad infliggerle un terribile morso al capezzolo. La reazione della ragazza, anche solo verbale, (deve supporre che sia solo verbale, perché se fosse diversamente ci sarebbero i segni di difesa n.d.a.) a tale gesto, ha provocato l’ulteriore incremento della spinta aggressiva per cui il BUSCO l’ha dapprima atterrata e tramortita con un potente schiaffone all’emivolto e poi, scatenatasi ormai la violenza, colto da un’irrefrenabile furia omicida, le ha inferto 29 coltellate mentre la ragazza già si trovava stesa a terra supina e senza che potesse opporre una sia pur minima resistenza dato che il BUSCO si era posizionato a cavalcioni sopra di lei, come attestato dalle evidenti tumefazioni rilevabili sul bacino della giovane".

Ora si noti la disinvoltura del passaggio in cui dopo lo schiaffone, sembra materializzarsi nelle mani dell’aggressore anche l’arma bianca usata per colpire e straziare Simonetta.

Può forse pensarsi che la coppia fosse avvezza, durante i rapporti sessuali, a tenersi un tagliacarte a portata di mano per ogni eventualità?

Il Pubblico Ministero aveva ipotizzato che il tagliacarte fosse stato inizialmente impugnato da Simonetta per difendersi, per poi esserle sottratto con il seguito che sappiamo.

Perché il Giudice non fa sua questa ipotesi che, tra l’altro, fu anche indicata da Carella Prada?

Perché fornendo troppi dettagli si rischiava di evidenziare l’assoluta inverosimiglianza dell’intera costruzione accusatoria che nella dinamica conseguente ad un rapporto consensuale, ha il suo limite più forte.

Sono tantissimi i particolari non riferiti.

Nulla si dice del tagliacarte, del simulato furto, delle chiavi sparite, della porta socchiusa, dei testimoni che si contraddicono (Volponi e De Luca, Caracciolo e Baldi, Caracciolo e Macinati).

A volte il desiderio di celare scomode evidenze rasenta il grottesco, come nel caso del “testimone di fiducia” Salvatore Volponi.

Anziché cogliere nella nota esclamazione “bastardo”, il carattere ambiguo che tutti hanno sottolineato, il Giudice lo inserisce in coda alla narrazione sulla sofferenza di Simonetta opposta alla brutale indifferenza del fidanzato, cosicche il “bastardo” diviene un aggettivo da appioppare a Raniero Busco.

Tanta mediocrità e scorrettezza e visibile a tutti leggendo con attenzione l’intiera 115.

A fianco della discussione sul movente il Giudice riprende inoltre alcuni passaggi delle perizie per rimarcare nuovamente il carattere passionale del delitto nel quadro di un rapporto sessuale fra fidanzati finito malamente.

Alcuni di questi passaggi meritano tuttavia una particolare attenzione perché vi si scorge una certa malizia nell’orientare l’opinione del Pubblico Ministero verso conclusioni per nulla scontate, specie quando si allude ad una azione repentina in cui anche i fendenti portati con l’arma bianca, sarebbero avvenuti in tempi ravvicinati.

Quello che segue è il passaggio più eloquente:
“In concreto, ritengo verosimile si sia trattato di un unico mezzo, dotato di punta e bitagliente, anche se non particolarmente affilato quale, ad esempio, un tagliacarte, e che le ferite siano state prodotte in un breve/brevissimo arco di tempo. La loro produzione in un breve/brevissimo arco di tempo può risultare compatibile con una unica azione lesiva condotta in due momenti, il primo a carico del volto, del torace e dell’addome, il secondo a carico della regione genitale, sempre comunque in un arco temporale molto ristretto".

Si noti come il perito ripete ossessivamente che l’azione delittuosa si è svolta in tempi ristretti. In realtà la deduzione è del tutto arbitraria essendo completamente assenti in perizia indicazioni di tipo scientifico che possano far propendere per un’azione repentina. Ciononostante si afferma ostinati che i tempi furono brevi.

Con quale scopo?

Quello già accennato in un capitolo precedente, e cioè lo scopo di evocare unicamente una motivazione di tipo passionale (che si concilia con l’imputato), in cui l’overkilling esige che tutto si compia in tempi brevi, e non si scorga, al contrario, la motivazione sessuale di un uomo deviato e respinto.

L’analisi sulle motivazioni si conclude qui. Non vengono trattate, quindi, le parti in cui il Giudice si riferisce alle altre analisi scientifiche, avendole lui stesso ritenute inconcludenti.

Pure non si accenna alle osservazioni sulla “doppia catena causale” – il rinvenimento del cadavere da parte di Vanacore – su cui, a parere del Giudice, non sarebbe stata raggiunta la prova certa. Non avendo di che confutare, ci si astiene da commenti.

Per ogni approfondimento relativo all’interpretazione degli eventi cosiddetti “paralleli”, si rimanda a quanto già riferito nella “ricostruzione del delitto”.


Bruno Arnolfo

mercoledì 1 giugno 2011

Al di là di ogni ragionevole dubbio. Il racconto di via Poma


Al di là di ogni ragionevole dubbio. Il racconto di via Poma



Autore: Raffaella Fanelli - Roberta Milletarì
Editore: Aliberti
ISBN: 8874248083
ISBN-13: 9788874248087
Pagine: 160

Descrizione

Il libro che racconta la vicenda personale di Raniero Busco e della sua condanna in primo grado di giudizio. L'elenco delle tante, troppe domande rimaste ancora senza risposta. Nuovi inquietanti scenari sul delitto di via Poma.