martedì 1 marzo 2011

Ricostruzione ipotetica del delitto Cesaroni - parte 2

La pausa pranzo e la telefonata

Cardine dell’accusa è per ovvie ragioni la telefonata che Simonetta ricevette all’ora di pranzo, ove si ritiene che l’interlocutore fosse il fidanzato che nell’occasione viene informato dell’opportunità creatasi all’ufficio di Via Poma per una “visita” pomeridiana. L’ora di pranzo è anche l’unico momento in cui Simonetta poteva proporre al fidanzato il fatale incontro.

Prescindere dalla telefonata sarebbe ovviamente letale per l’accusa, a meno di concepire una “improvvisata” di Raniero che, affidandosi alla buona sorte, spera che Simonetta sia per la prima volta sola in ufficio.

L’attribuzione della telefonata a Raniero Busco è ovviamente una mera congettura, non essendoci alcun elemento da cui possa dedursi tale fatto.

Sul piano deduttivo è unicamente lecito ipotizzare che quella telefonata sia stata fatta dall’assassino, chiunque esso sia, in forza del fatto che nessun altro soggetto ha dichiarato di essere stato lui a telefonare. D’altra parte se nessuno rivendica la telefonata, ben si può credere che sia stato l’assassino a farla, ovviamente restio a farlo sapere.

Si noti, però, che se era Busco il telefonista, occorre considerare il fatto che la Cesaroni avrebbe potuto confidare ai famigliari di aver parlato con il fidanzato, senza necessariamente accennare a quell’accordo. Poiché nella notte Busco ha affermato di essersi sentito con la fidanzata per l’ultima volta il lunedì, avrebbe rischiato di essere scoperto da li a poco per testimonianza dei famigliari.

Ha avuto fortuna o è stato sincero?

Sicuramente Simonetta non rivelò ai genitori o alla sorella con chi stava parlando al telefono, ma questo Busco non poteva saperlo quando fu interrogato per la prima volta.

Passi la fortuna.

Come si vede, quindi, la pretesa attribuzione della telefonata a Raniero Busco non è solamente una congettura priva di riscontri, ma anche una ipotesi gravemente esposta ad un eccesso di eventi fortuiti favorevoli all’imputato.

Sarebbe tuttavia fallace considerare unicamente le ipotesi fra loro opposte: telefonata dell’assassino o telefonata di estraneo ai fatti. Esiste, in verità, una ipotesi intermedia, per nulla peregrina, che indica la possibilità che l’interlocutore al telefono dovesse comunicare una informazione che in quel momento poteva ritenersi innocua, ma che in seguito si rivelò molto imbarazzante.

Si può ben immaginare il “disagio” di chi eventualmente avesse informato Simonetta di un visitatore pomeridiano che poi combina ciò che combina.

Fra i tanti interlocutori “intermedi” non si può ovviamente escludere lo stesso Volponi che, peraltro, conosceva il numero di casa Cesaroni.

Riguardo a questa eventualità di un telefonista terzo, non colpevole del delitto ma informato di chi doveva passare in ufficio, preme evidenziare quanto il coinvolgimento nel delitto di terze persone, sia in generale una tematica che offre molti riscontri, ai quali la stessa accusa non si è sottratta, sebbene abbia poi relegato tali riscontri (vedasi il caso delle telefonate a Tarano) ad azioni sgraziate dei protagonisti, non collegate al delitto, e di cui Raniero Busco sarebbe stato l’inconsapevole beneficiario. Il Pubblico Ministero ha usato la seguente espressione “due catene causali distinte che procedono in parallelo”.

Non si mancherà di accennare diffusamente a questi eventi collaterali che l’accusa ritiene scollegati al delitto, ma che ben potrebbero essere funzionali alla vicenda delittuosa.

Tornando ad altri episodi occorsi durante l’intervallo del pranzo, conviene appunto trattare proprio del pasto.

Se la telefonata pare intrecciarsi nella trama che conduce all’assassinio di Simonetta Cesaroni, la consumazione del pasto offre le prime indicazioni circa la tempistica del delitto, potendo dedursi dall’accertata presenza di una poltiglia nello stomaco della vittima (referto autoptico del 8/8/1990 prof. Carella Prada) che il ciclo digestivo non si era concluso, circostanza che consente di fissare un tempo limite al compimento del delitto pari alla durata del ciclo stesso.

Interpellato in aula il prof. Stefano Moriani, perito dell'accusa, ha stimato quale probabile orario della morte le ore 17:00, ricavata partendo dall’orario presunto di conclusione del pasto – ore 14 - e sommandovi le circa tre ore necessarie al compimento del ciclo digestivo.

In verità, il fatto che il ciclo non fosse terminato obbligava a tener conto anche del tempo residuo alla conclusione dello stesso, arretrando ulteriormente l’orario della morte.


Tuttavia, al di la di disquisizioni tecniche e probabilistiche, occorre convenire sul fatto che la determinazione dell’orario della morte attraverso tale procedura è insidiata dall’oggettiva variabilità da soggetto a soggetto del ciclo digestivo, con oscillazioni che possono stimarsi in un’ora. Un margine abbastanza ampio che suggerisce cautela nel dare valenza probatoria alla stima proposta dalla perizia.

Ne consegue che la tempistica del delitto può trovare nelle analisi peritali solo un conforto parziale, non risolutivo. La sopravvalutazione delle risultanze peritali e parsa quindi una forzatura il cui intento principale è stato quello di ricercare le sintonie adatte al quadro accusatorio, come meglio si approfondirà quando verranno trattate le telefonate di quel pomeriggio.

L’intervallo del pranzo, cosiccome il tragitto fino alla fermata della metropolitana, non offrono ulteriori elementi di riflessione che siano di particolare utilità.


L’arrivo in via Poma

L’accusa ha ritenuto di collocare intorno alle 16 l’orario di arrivo della Cesaroni sul luogo di lavoro, assumendo quindi come probabile che non vi siano state soste di alcun genere durante il percorso.

Come è noto l’ingresso della Cesaroni nel complesso di via Poma non è stato notato da nessuno e l’assenza di testimoni non deve destare rammarico rispetto all’assenza di riscontri circa l’orario di ingresso, bensì rispetto al ben più importante accertamento che la Cesaroni fosse in quel momento da sola.

La mancanza dei citati riscontri non autorizza quindi a dare per certo, o anche solo per probabile, che la Cesaroni fosse giunta da sola all’ingresso del palazzo e con ciò dedurre che l’assassino sia sopraggiunto in un secondo momento.

Vi è al contrario motivo per propendere per un arrivo congiunto della Cesaroni e del suo assassino, desumibile dal fatto che non solo la vittima non è stata vista entrare, ma nemmeno l’assassino è stato visto, e ciò in orari in cui sappiamo che il cortile risultava affollato per l’usuale cocomerata dei portieri e rispettive famiglie.

Depone in tal senso la circostanza che il giovane segnalato dal colonnello Giovanni Danese, visto entrare nel palazzo poco dopo le 16:00, al contrario di Simonetta e del suo assassino, è stato visto e fermato dalla signora De Luca, a riprova che a quell’ora era pressoché impossibile non essere visti.

Se ne ricava che in termini di probabilità è più fondata l’ipotesi di un arrivo congiunto intorno alle 16 quando il cortile era ancora vuoto. Oppure di un utilizzo di ingressi che non avevano presidio alcuno come l’accesso dal carraio di via Baiamonti con transito nei sotterranei e da qui al vano scala che accede all’ufficio.

Un percorso che poteva fare l’assassino da solo, in qualsiasi orario e senza essere visto, oppure entrambi i soggetti in compagnia, qualora si ipotizzi un appuntamento fra i due all’uscita della metropolitana con passaggio in auto fino al luogo di lavoro. Naturalmente l’accesso dal carraio esige che il fruitore sia persona che aveva disponibilità del parcheggio sotterraneo.

E’ appena il caso di segnalare che le ipotesi anzidette sono pressochè inconciliabili con Raniero Busco, risultando del tutto inverosimile che il preteso accordo fra i due fidanzati contemplasse un appuntamento antecedente l’ingresso nel palazzo, posto che in tal caso sarebbe stato più logico che i due giovani si accordassero per un passaggio direttamente dalla residenza della Cesaroni.

Neanche da considerare l’ipotesi che Raniero Busco abbia lui, fruito del passaggio carraio.

D’altro canto la stessa accusa ha ritenuto che Raniero Busco potesse giungere in via Poma soltanto dopo le 17:00 .

Stabilito quindi che esiste fondato motivo per ritenere che l’assassino sia entrato simultaneamente alla Cesaroni, occorre segnalare che la prima attività accertata con perizia dei tecnici Insirio riguarda il computer in dotazione all’ufficio, che si avvia alle 16:37.

Risulterebbe quindi un vuoto di 37 minuti, che paiono troppi rispetto alle modeste incombenze che possono incorrere nell’approntarsi al lavoro, pure considerando eventuali attività preparatorie attinenti il caricamento dei dati. Fatto che depone ulteriormente a favore di un possibile “intralcio” rappresentato dalla presenza di una seconda persona.

Con l’accensione del computer la Cesaroni si propone quindi di iniziare il lavoro di caricamento dei dati contabili relativi ai soggiorni presso le varie sedi degli Ostelli della Gioventù.

Il tempo di cominciare e subito si verifica un inconveniente relativo ad alcuni codici identificativi che la Cesaroni non conosceva e che dovette chiedere ad una collega di lavoro, di cui aveva annotato in agenda il recapito telefonico: Luigina Berrettini.

Comincia da questo momento la controversa disquisizione sugli orari, sui protagonisti e sul contenuto di queste telefonate, elementi che incidono su vari aspetti della vicenda, in particolare per quanto concerne la tempistica del delitto.

Questi aspetti saranno trattati diffusamente più avanti, a confutazione dell’asserita colpevolezza di Raniero Busco.

Occorre ora parlare della fatale aggressione subita da Simonetta Cesaroni.

[Parte 1]

[Parte 3]

Bruno Arnolfo

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