domenica 17 luglio 2011

Condannato e non colpevole

Leggo il libro 'Al di là di ogni ragionevole dubbio' di Raffaella Fanelli e Roberta Milletarì (moglie di Raniero Busco) e scopro che c'è altro oltre il racconto di via Poma.
Oltre l'attentissima e dettagliata ricostruzione dei fatti proposta da Raffaella Fanelli, oltre l'elenco dei mille dubbi e domande rimasti senza risposta.

C'è la tragica vicenda umana di una famiglia travolta da un incubo impensabile.
La sofferenza di una coppia di persone normalissime costrette a fare fronte a qualcosa di inimmaginabile e a gestire la loro vita senza più direzione.
E il disperato tentativo di proteggere quella dei loro due bambini.

La scrittura di Roberta è a tratti rabbiosa, a tratti segnata dallo sconforto:

"Raniero non ha mai fatto del male a nessuno. Lui non ha ucciso Simonetta.
Questa sentenza appartiene a un altro e a lui deve essere restituita.
I morti hanno bisogno di giustizia. Certo. Ma un innocente non può pagare per quello che non ha commesso, non può saldare il conto di qualcun altro e giustificare con la sua condanna i milioni di euro spesi da una procura in esami, perizie e inutili indagini...
Raniero ha lo sguardo smarrito. Perché non è successo a me tutto questo? Io sarei stata in grado di sopportarlo, ma lui no. Lui non è come me, lui è migliore di me. Lui è più buono, più onesto, più fragile… lui che non si arrabbia mai, lui che non alza mai la voce e che sorride quando lo faccio io! No. La sua dignità, la sua onestà, la sua innocenza meritano rispetto. Ne avranno le persone che decideranno della nostra vita, del nostro futuro? Decideranno cosa fare di Raniero senza aver mai parlato con lui, senza averlo mai guardato negli occhi... Non avremmo mai immaginato tutto questo. A cosa serve comportarsi da persone corrette quando poi ti vedi quarant’anni di vita onesta distrutti in un giorno solo dai titoli dei giornali che ti additano come un assassino. Una vita intera distrutta dal caso, da un test. Il nostro vissuto non esiste più, e c’è solo uno spaventoso punto di domanda sul nostro futuro."

Quello spaventoso punto di domanda che stravolge anche la vita dei loro bambini:

"Stringo nella mia la sua piccola mano, morbida dal sonno. Alzo gli occhi al cielo e sento quasi male quando le lacrime scendono. Avrei dovuto fare uno shampoo e una doccia e invece sono qui nel letto grande, insieme a lui, a scacciare le sue paure di bambino… mi fermo a guardarne la dolcezza del viso mentre dorme. Penso a quanto sarà faticoso e difficile proteggere la sua serenità."

"Una piccola domanda. Con la solita cantilena tipica dei bambini. «Mamma, però un giorno ci porti sulla neve?» E io non ho saputo rispondere ai miei figli…"

"Così come l’innocente domanda di Riccardo: «Perché mamma, era al lavoro da sola quella ragazza?»"

"Nessuno conosce la nostra disperazione oggi, e la nostra vita prima. Non sa dei giochi con i nostri figli, delle risate tutti e quattro insieme, di quando abbiamo asciugato le loro lacrime. Di quando abbiamo detto a Riccardo e a Valerio ciò che stava succedendo in famiglia, al loro papà. Abbiamo voluto che sapessero da noi... Guardo la foto del nostro viaggio di nozze, immobile nella cornice d’argento, lo scatto mentre abbracciavo sorridente una palma e guardavo alla vita e al futuro con Raniero. Non sono io. Non lo sono più... Ripenso a Raniero, a come era prima. Ma non sempre riesco a rimettere insieme il suo viso. Lo ricordo per alcuni gesti, per il suono della sua risata, per il bacio che mi ha dato l’ultima volta in un luna park, a Roma. Mi chiedo dove sia finito il mio Raniero, la sua espressione divertita. Forse è nello stesso posto dove sono finita io. Mi chiedo se qualcuno ha dei rimorsi per tutto questo... Ho sempre sperato che venisse rispettata la legge: si deve accertare la colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. Invece sulla nostra testa gli indizi sono diventati prove e le ipotesi certezze. Dire vergogna è poco. Ma come fanno a dormire tranquilli la notte? Come ci riescono con il dubbio lacerante di aver potuto condannare un innocente?"

Ma questo, appunto, non importa a nessuno.
Non importa a quelli che in tutti questi anni hanno mentito, depistato.
Non importa a quelli che non hanno fatto il proprio dovere fino in fondo.
Non importa a quelli che hanno forzato le perizie.
Non importa a quelli che si sono dichiarati soddisfatti di una sentenza pur sapendo che non era lui il colpevole.
Non importa a quelli che non si sono fatti avanti a raccontare la verità.
Non importa a quelli che hanno permesso che succedesse tutto questo.

Non tutti hanno tra le loro qualità l'empatia, la capacità di immedesimarsi nell'altro e capirne sentimenti e pensieri.
Ci si gira dall'altra parte e si pensa ai fatti propri.

C'è tuttavia un modo proposto da Umberto Brindani (direttore di 'Oggi' e autore della prefazione del libro) per centrare il giusto punto di vista:

"«Meglio cento colpevoli in libertà che un innocente in galera». Quella frase non ci convince perché siamo egoisti, ci immaginiamo come potenziali vittime di uno dei cento.
A quell’uno, innocente, non ci pensa mai nessuno.
C’è un solo modo per capire quella frase: immaginare che quell’uno siamo noi.
Io che scrivo, tu che leggi."

Gabriella Schiavon

martedì 12 luglio 2011

Raffaella Fanelli: Via Poma, l'altra verità

Busco è veramente il colpevole? Alla vigilia del processo d'appello la casa editrice Aliberti pubblica AL DI LA' DI OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO, il libro che ho scritto con Roberta Milletarì, la moglie di Raniero Busco. Un libro che racconta tutt'altra verità su quanto accadde quel 7 agosto 1990.
Raffaella Fanelli.

Emergono nuovi e importanti elementi in vista del processo di Appello.

Vai all'articolo su 'Oggi'

sabato 9 luglio 2011

Il mistero delle agendine

Simonetta aveva nella borsetta 2 agendine telefoniche, una rosa e una azzurra.
Entrambe contenevano recapiti telefonici ma erano diverse, una più sottile con fogli bianchi e l'altra più consistente con la formattazione a righe tipica delle rubriche, nella cui retrocopertina sono contenuti i famosi versi della canzone di Lucio Dalla:
"E per cosa mi dovrei pentire? Di giocare con la vita e di prenderla per la coda; tanto un giorno dovrà finire e poi all'eterno ho già pensato, è eterno anche un minuto, ogni bacio ricevuto dalla gente che ho amato".

Non sembra ci sia una distinzione logica tra le due agendine (tipo una per gli amici e l'altra per il lavoro), ma forse l'agendina sottile con le pagine bianche sembra contenere numeri cronologicamente più recenti. Probabilmente è stata acquistata perchè la prima era già piena su parecchie lettere alfabetiche di riferimento.

Sembra perchè quella sottile conteneva i numeri di telefono lavorativi più recenti: oltre quelli dell'ufficio di via Maggi (presenti su entrambe le agendine), c'era quello di via Poma (sotto ostello gioventù), quelli di Luciano Menicocci di casa e dell'ufficio a via Cavour, il numero di casa della Berrettini, quello della tabaccheria di Volponi (insieme a tutti gli altri recapiti di casa e di Fiumicino), nonchè inspiegabilmente due numeri dell'ufficio dell'avvocato Caracciolo di Sarno.

Questa stranezza è stata fatta notare al processo dall'avv. Loria, difensore di Raniero Busco, ma è evidente che non ha avuto grande rilevanza nella decisione dei giudici. Eppure avrebbe meritato almeno qualche riflessione in più, visto che lo stesso avvocato Caracciolo ha dichiarato di non conoscere affatto la ragazza, tanto che non sapeva nemmeno se questo suo collaboratore esterno fosse uomo o donna.

Uno dei tanti misteri rimasti senza un perchè di questa vicenda. E che la sentenza di colpevolezza lascia ancora inesorabilmente irrisolti.

Ma relativamente alle agendine c'è un altro mistero: si è sempre parlato della famosa agendina rossa con la scritta 'Lavazza' di proprietà presumiilmente di Pietrino Vanacore che è stata riconsegnata per errore alla famiglia Cesaroni insieme agli altri oggetti di Simonetta.
Per l'accusa sarebbe una prova che il portiere entrò in serata nell'ufficio degli Ostelli scoprendo il cadavere e quindi tentò di telefonare ai responsabili dell'ufficio per avvertirli dell'accaduto, pensando ad un incontro intimo finito in tragedia.

Ma il vero mistero relativo a questa agendina è che mentre le altre due sono agli atti, fotocopiate e registrate, della agendina di Vanacore non ci sono tracce. Tanto che, per stabilire se ci fossero contenuti i numeri di telefono dei responsabili degli Ostelli, la dovettero cercare durante una perquisizione a Monacizzo, dove nel frattempo si era trasferito il portiere (senza peraltro reperirla).

Tutti gli altri fogli, lettere, appunti di Simonetta sono stati fotocopiati e registrati; allora come mai quell'agendina rossa non c'è?

Oltretutto, per quello che ci risulta, l'agendina non comparirebbe in nessuna fotografia scattata in sede di repertazione.

Aggiungiamoci pure che quando Claudio Cesaroni restituì agli investigatori l'agendina rossa dichiarandola non sua, e facendo anche notare che conteneva i numeri di tutti i parenti del Vanacore, nessuno si ricorda più che fine abbia fatto e dove sia finita.

Molto strano. Ma del resto cosa c'è di chiaro e limpido in questa vicenda?

Gabriella Schiavon

giovedì 7 luglio 2011

Le contraddizioni di Volponi

Durante l'inchiesta di questi 20 anni non è stato solo l'atteggiamento agitato e sospetto di Salvatore Volponi, riferito da più di un teste, a riempire di ombre e interrogativi la sua posizione nella vicenda.
Ci sono state anche delle contraddizioni nelle sue stesse dichiarazioni rese durante questi lunghi anni.

Ne vogliamo evidenziare due. La prima riguarda l'ultima volta che avrebbe incontrato Simonetta da viva. E' una dichiarazione data al processo, ripetuta anche all'interno del suo libro sulla "Io, via Poma e Simonetta":
Avv. Loria: Quand'è che ha visto Simonetta l'ultima volta da viva?
Volponi: la... diciamo nella... nella mattinata del 7... nella prima mattinata... dovevamo fare un piano per tutte le cose che c'erano da fare.

Ma dalle prime dichiarazioni del 1990 (verbali dell'8-8-1990, 14-8-1990) risulta invece che si incontrarono il lunedì mattina, non il martedì, tanto che specificò pure che passò tutto il martedì mattina con il dentista ed il medico di famiglia.

Loria contesta questa contraddizione al Processo, ma Volponi dice di non ricordarsi.

Invece si ricorda benissimo di una circostanza, citata pure nel libro:
"Non c'è bisogno che venga - disse con voce precisa la ragazza - sono sicura di farcela. Me
la sono sempre cavata da sola, non capisco perché oggi dovrei avere bisogno dell'aiuto di
qualcuno".
"Posso dettarle i dati delle fatture per fare prima" - dissi.
"No, dottor Volponi, non si scomodi, le ripeto, posso tranquillamente farcela da sola - rispose decisa la ragazza".
Insistetti di nuovo per vedere la sua reazione, ma lei, con voce infastidita e decisa mi fece capire che sarebbe stato meglio che non fossi andato in ufficio quel giorno.
Restammo intesi che in ogni caso mi avrebbe telefonato alle 18,20.
Mi chiederò per sempre il perché di quella risposta!
Perché Simonetta non voleva che andassi in ufficio a via Poma? Perché tanta resistenza? Chi aspettava Simonetta? A chi aveva dato appuntamento in quell'ufficio?".

E ripetuta al processo:
"Guardi, io soltanto mi ricordo una cosa precisa, quando io insisevo per dire: "Ma vuole una mano, che gli dia... l'accompagno... una mano, vuole che finiamo... così finiamo il lavoro", destra e sinistra, la IRREMOVIBILITA' di Simonetta A NON FARMI ANDARE".

Questo è un punto importante perchè ha favorito l'avvalorarsi della tesi secondo la quale Simonetta VOLEVA restare da sola a via Poma per incontrare il fidanzato, l'attuale imputato Raniero Busco. In un ufficio estraneo che frequentava solo da poco più di un mese. Con la incredibile sicurezza che nessuno degli altri dipendenti sarebbe passato nel pomeriggio, per un qualsiasi motivo.

Ma pure questo non corrisponde a quanto dichiarato nei primi verbali.
Il 29 agosto 1990 infatti Volponi afferma:
"Non dissi mai a Simonetta che non sarei andato martedì pomeriggio nell'ufficio degli ostelli. Per quanto mi consta Simonetta era rimasta che doveva telefonarmi o che mi avrebbe visto passare presso gli ostelli".

Perchè queste contraddizioni? Perchè questa vicenda è piena di personaggi che, con la scusa del lungo tempo trascorso, cambiano versioni e orari a proprio piacimento?
E' veramente colpa della memoria o ci si adegua per convenienza alla tesi accusatoria di turno?

Gabriella Schiavon