sabato 9 luglio 2011

Il mistero delle agendine

Simonetta aveva nella borsetta 2 agendine telefoniche, una rosa e una azzurra.
Entrambe contenevano recapiti telefonici ma erano diverse, una più sottile con fogli bianchi e l'altra più consistente con la formattazione a righe tipica delle rubriche, nella cui retrocopertina sono contenuti i famosi versi della canzone di Lucio Dalla:
"E per cosa mi dovrei pentire? Di giocare con la vita e di prenderla per la coda; tanto un giorno dovrà finire e poi all'eterno ho già pensato, è eterno anche un minuto, ogni bacio ricevuto dalla gente che ho amato".

Non sembra ci sia una distinzione logica tra le due agendine (tipo una per gli amici e l'altra per il lavoro), ma forse l'agendina sottile con le pagine bianche sembra contenere numeri cronologicamente più recenti. Probabilmente è stata acquistata perchè la prima era già piena su parecchie lettere alfabetiche di riferimento.

Sembra perchè quella sottile conteneva i numeri di telefono lavorativi più recenti: oltre quelli dell'ufficio di via Maggi (presenti su entrambe le agendine), c'era quello di via Poma (sotto ostello gioventù), quelli di Luciano Menicocci di casa e dell'ufficio a via Cavour, il numero di casa della Berrettini, quello della tabaccheria di Volponi (insieme a tutti gli altri recapiti di casa e di Fiumicino), nonchè inspiegabilmente due numeri dell'ufficio dell'avvocato Caracciolo di Sarno.

Questa stranezza è stata fatta notare al processo dall'avv. Loria, difensore di Raniero Busco, ma è evidente che non ha avuto grande rilevanza nella decisione dei giudici. Eppure avrebbe meritato almeno qualche riflessione in più, visto che lo stesso avvocato Caracciolo ha dichiarato di non conoscere affatto la ragazza, tanto che non sapeva nemmeno se questo suo collaboratore esterno fosse uomo o donna.

Uno dei tanti misteri rimasti senza un perchè di questa vicenda. E che la sentenza di colpevolezza lascia ancora inesorabilmente irrisolti.

Ma relativamente alle agendine c'è un altro mistero: si è sempre parlato della famosa agendina rossa con la scritta 'Lavazza' di proprietà presumiilmente di Pietrino Vanacore che è stata riconsegnata per errore alla famiglia Cesaroni insieme agli altri oggetti di Simonetta.
Per l'accusa sarebbe una prova che il portiere entrò in serata nell'ufficio degli Ostelli scoprendo il cadavere e quindi tentò di telefonare ai responsabili dell'ufficio per avvertirli dell'accaduto, pensando ad un incontro intimo finito in tragedia.

Ma il vero mistero relativo a questa agendina è che mentre le altre due sono agli atti, fotocopiate e registrate, della agendina di Vanacore non ci sono tracce. Tanto che, per stabilire se ci fossero contenuti i numeri di telefono dei responsabili degli Ostelli, la dovettero cercare durante una perquisizione a Monacizzo, dove nel frattempo si era trasferito il portiere (senza peraltro reperirla).

Tutti gli altri fogli, lettere, appunti di Simonetta sono stati fotocopiati e registrati; allora come mai quell'agendina rossa non c'è?

Oltretutto, per quello che ci risulta, l'agendina non comparirebbe in nessuna fotografia scattata in sede di repertazione.

Aggiungiamoci pure che quando Claudio Cesaroni restituì agli investigatori l'agendina rossa dichiarandola non sua, e facendo anche notare che conteneva i numeri di tutti i parenti del Vanacore, nessuno si ricorda più che fine abbia fatto e dove sia finita.

Molto strano. Ma del resto cosa c'è di chiaro e limpido in questa vicenda?

Gabriella Schiavon

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