mercoledì 30 maggio 2012

Delitto di Via Poma - Un'altra botta alla giustizia

Questo processo aggiunge un ulteriore tassello probatorio al devastante quadro della situazione del processo penale in Italia, in mano ad ignoranti ed incapaci.

La storia è nota e non sto a ripeterla. Le prime indagini del 1990 non portavano a nessuno risultato ed è rimarchevole solo per capire la facilità con cui i PM mettono in carcere sospettati innocenti; uno finisce in carcere perché ha sui pantaloni macchie di sangue delle proprie emorroidi, un altro rischia di finirci per le accuse di un informatore mitomane.

Sulla base dei nuovi entusiasmi per la prova scientifica, dal 2004 entrano in scena il RIS di Parma con il loro dirigente. È ormai ampiamente dimostrato che i PM hanno una fiducia fideistica nei laboratori della polizia e dei carabinieri, anche se, in tutti i casi importanti, essi hanno dimostrato di non avere una adeguata preparazione scientifica e indipedenza dai PM..
Vengono riesaminati indumenti e macchie e i consulenti del PM trovano che su di un indumento vi sono tracce di DNA riferibili al fidanzato della vittima, Raniero Busco.
Su di un capezzolo della vittima erano state rivenute dal perito settore delle escoriazioni ed il PM nomina una squadra di periti i quali concludono, come si aspettava il PM, che le escoriazioni erano sicuramente dovute ad un morso e che i segni corrispondevano ai denti del fidanzato.

Non si riusciva però a individuare un movente e quindi l’accusa ne ipotizzava uno qualsiasi; come dire “se lui l’ha ammazzata, come io so per certo, un movente doveva avercelo per forza”!
Non si riusciva a far quadrare le particolarità del caso, indicanti piuttosto un omicidio da raptus ricollegabile ad un tentativo di violenza sessuale, che non un fidanzato … e quindi si ignora questo aspetto! Mentre la logica, fin da Sherlock Holmes, dice che quando si ricostruisce un quadro probatorio tutti i tasselli del puzzle, aventi un peso probatorio, devono combaciare, i PM italiani seguono la regola che i tasselli non combacianti con le loro modeste idee, vanno ignorati! Logica rudimentale di chi è ancora attaccato all’idea che il sospettato deve essere incarcerato e maltrattato sperando che confessi.

Sulla base di questi elementi si giungeva al processo di primo grado in cui, nonostante serie consulenze che confutavano quelle del PM, il fidanzato veniva condannato a 24 anni con la stessa “leggerezza dell’essere” con cui si distribuiscono bruscolini. La giustizia neppure si lasciava cogliere dal dubbio che le consulenze dell’accusa potessero essere di parte o sommarie. Non disponeva nessuna perizia non di parte, ma però perdeva giorni e giorni a sentire i testimoni su circostanze del tutto trascurabili e irrilevanti, percepite dieci anni prima!!

Ora, forse sfugge ai più che mentre il perito nominato dal giudice deve giurare di adempiere fedelmente al proprio compito, il consulente del PM o della difesa non giura un bel nulla e quindi può sparare tutte le fesserie che vuole per accontentare chi lo ha incaricato.

È quindi già una cosa assurda che il nostro sistema consenta al GIP di rinviare a giudizio un imputato solo sulla base di una consulenza del PM contestata dalla difesa, ma è cosa che grida vendetta vedere che un Collegio accetta supinamente la consulenza del PM: questa, se non accettata della difesa, non ha alcun valore probatorio, neppure se firmata da generali o professori, e ha il valore della carta straccia.

Si giungeva così al processo di appello in Corte d’Assise in cui un Collegio all’altezza dei suoi compiti e del suo stipendio, nominava doverosamente dei periti di ufficio; e non si rivolgeva ai soliti palloni che imperversano in TV, ma nominava quanto di meglio abbiano ora in Italia. Primo fra tutti il dr. Corrado Cipolla D’Abruzzo che di morti ammazzati ne ha sezionati a migliaia.

La perizia ha portato alla luce un quadro desolante circa la superficialità con cui sono stati svolti in passato gli accertamenti scientifici.
L’Autopsia:
- L’ora della morte è stata stabilita senza fare accertamenti sulla temperatura corporea (il perito però accertò che il cadavere era freddo!), sull’andamento della temperatura ambientale e relative conseguenze sulla rigidità cadaverica; ci si è basati praticamente sul contenuto gastrico senza sapere quando la vittima aveva mangiato e che cosa aveva mangiato; nessuna indagine né sul cibo ingerito né su eventuali sostanze tossiche o stupefacenti fu eseguito. Quindi il momento della morte venne fissato con una precisione non consentita dai fatti e indirizzò il controllo degli alibi in una direzione sbagliata.
- Il perito rilevò e fotografò una escoriazione sul capezzolo con crosticina siero- ematica. La presenza della crosticina poteva far supporre che l’escoriazione fosse precedente alle lesioni mortali. Purtroppo la crosticina non venne prelevata e non venne compiuto alcun esame per stabilire se essa era anteriore o contemporanea alla morte. Esame che sarebbe stato doveroso.

L’esame del DNA
- La grande scoperta dei periti del PM nel 2010 fu che sul corpetto e reggiseno della vittima vi era il DNA del fidanzato. Un perito competente, oppure non di parte, avrebbe anche scritto quali erano le problematiche connesse ad un accertamento sul DNA dopo dieci anni e sui pericoli di inquinamento dei capi di vestiario. Invece la consulenza non spiegò che tutti gli abiti della vittima erano stati gettati in un unico sacco e che quindi era impossibile dire da dove venissero le tracce di DNA del fidanzato, che certamente frequentava la casa e il letto della vittima. Eppure nel 2010 i problemi di inquinamento del DNA erano ben noti anche ai profani: persino io ne avevo scritto già nel 2009.
- I periti odierni hanno stabilito invece che macchie di sangue rinvenute in più punti della scena del delitto appartengono a un maschio sconosciuto, fatto sfuggito ai precedenti consulenti del PM. Tutto è possibile, anche che uno dei poliziotti intervenuti subito dopo l’omicidio avesse le emorroidi come uno dei primi sospettati, ma non è concepibile che si indaghi su una circostanza non decisiva (la presenza del fidanzato) e si trascurino delle macchie di sangue.

La perizia odontoiatrica
Il poderoso collegio di consulenti messo assieme dall’accusa, basandosi non su calchi, ma solo su foto elaborate al computer, ha raggiunto la certezza che l’escoriazione sul capezzolo era stata provocata da un morso e che il morso era sicuramente stato prodotto dai denti del fidanzato!
Orbene, i periti di ufficio hanno dimostrato:
- che non può esistere un morso che preme un capezzolo e che incide solo la parte superiore, a meno di ritenere che l’autore del morso avesse la mascella senza denti oppure che avesse i denti superiori come quelli di un criceto;
- che un morso in quella posizione avrebbe comportato per l’assassino una posizione da contorsionista;
- che chili di dottrina medico legale e persino testi ufficiali della giustizia degli Stati Uniti, affermano che è impossibile ricavare prove certe comparando i segni di un morso con l’arcata dentaria di una persona (salvo forse il caso che abbia morsicato un pezzo di stucco da impronte!).
Quindi conclusioni sconclusionate che consentono legittimamente di chiedersi se questi periti, senz’altro ottimi esperti di otturazioni e dentiere, avessero mai letto un articolo di dottrina sul problema oppure, se li avevano letti, perché non li hanno citati. Ma questo è l’andazzo delle consulenze in Italia in cui si confondono le esigenze della giustizia con quelle dell'accusa.

In conclusione un processo basato su forzature e che non avrebbe dovuto superare neppure il vaglio del GIP.

Altro punto dolente della giustizia in Italia è che giudici e PM che fanno figure da cioccolatai non ammettono mai di avere sbagliato; se un perito gli distrugge l’accusa, è il perito, oppure sono i loro colleghi a non capire, ed essi insistono a dire di aver capito tutto, protestano in televisione, fanno ricorsi ridicoli in cassazione, insistono a sostenere l’insostenibile, tormentano con processi e spese persone che, in base alla prove reali, neppure avrebbero potuto essere indagate.

Quel che peggio è che i procuratori generali che dovrebbero gestire l'accusa in appello e che sono lì per tutelare i diritti dei cittadini, imputato compreso, hanno talmente paura delle critiche che nel 99% dei casi sono proni a sostenere l'appello del PM trombato in primo grado, anche contro l'evidenza delle cose. Ma come? Essi sono più anziani, più esperti, più maturi, più pagati di uno sbarbatello di PM ed hanno paura di dire che questo ha sbagliato tutto? Come è possibile che si preferisca insistere a sostenere un'accusa sballata contro una persona che si sa destinata ad essere assolta, invece di andare a cercare il vero colpevole? Totò avrebbe detto "siamo uomini o caporali?". Nel nostro sistema il procuratore generale può anche togliere le indagini ad un PM che faccia cavolate, ma nessuno ha mai avuto questo coraggio (è anche vero che il CSM ha subito censurato chi ci ha provato, in base al principio che un magistrato se è indipendente, ha il diritto di fare tutte le cazzate che vuole e di non pagare mai i danni).

Non dico che tutti gli assolti siano innocenti, ma se non vengano condannati è solo perché il PM non ha saputo condurre le indagini e farsi aiutare e consigliare da consulenti di rango; ma come può chiedere consiglio chi ritiene di essere infallibile e di capire tutto anche senza le prove, come un "mago di Napoli"?

Altro grave problema è quello della parte civile che in un paese civile non dovrebbe poter avere ingresso nel processo penale. La parte civile è il soggetto danneggiato da un reato, che nel processo penale chiede vendetta o soldi, o entrambe le cose, e che per tale motivo spende decine di migliaia di euro in avvocati e consulenti; soldi che non recupererà quasi mai perché anche l’imputato spende tutti si suoi soldi per difendersi!

Ma con quale diritto e con quale coraggio un parente di un morto può perseguitare un imputato solo perché il PM gli assicura che è lui il colpevole? Prima si deve accertare se una persona è colpevole e dopo si potrà discutere del danno da risarcire. Invece il nostro sistema è tale per cui la parte civile può avere tutto l’interesse a cercare di far condannare un innocente ricco piuttosto che il vero colpevole povero! E l’imputato si deve così difendere su due fronti, con buona pace del principio che lottare in due contro uno è sempre una cosa scorretta.
Sempre mi sorprende, infine, quanti pochi avvocati della parte civile abbiano la sensibilità di dire ai loro mandanti “guardate che le prove del PM stanno crollando, qui corriamo il rischio di far condannare un innocente e di non far scoprire il vero colpevole, meglio attendere l’esito del processo”.

(26 aprile 2012)

Sento ora che la Corte di Assise di Appello ha assolto il Busco. Ho scritto il mio articolo prima della sentenza perché il risultato del processo era, per un esperto, ovvio prima che cominciasse. Ma possibile che nessuno risponda almeno di danno erariale per tutti i soldi buttati per fare un processo inutile, salvo che per cercare di far salvare la faccia a qualcuno?

(27 aprile 2012)

Edoardo Mori

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