mercoledì 7 dicembre 2011

Raffaella Fanelli: "Il mistero delle scarpe insanguinate"

Avranno novanta giorni di tempo i consulenti nominati dalla Corte d’assise d’Appello per fare chiarezza sulla morte di Simonetta Cesaroni, avvenuta il 7 agosto del 1990 negli uffici dell’Aiag in via Poma. Per questo omicidio in primo grado è stato condannato a 24 anni di reclusione Raniero Busco, ex fidanzato di Simonetta.
La perizia verrà effettuata da Corrado Cipolla D’Abruzzo, docente di medicina legale presso l’Università di Chieti, Carlo Previderè, ricercatore presso l’istituto di medicina legale dell’Università di Pavia e Paolo Fattorini, direttore della scuola di specializzazione di medicina legale presso l’Università di Trieste. L’esito degli accertamenti sarà esaminato nella prossima udienza fissata per il 27 marzo.

Che fine hanno fatto le scarpe di Simonetta?

Saranno rimessi in discussione l’orario della morte di Simonetta Cesaroni, le cause e i mezzi che l’hanno provocata, la natura delle lesioni presenti sul seno sinistro (il presunto morso), nonché le modalità di conservazione dei reperti utilizzati per le analisi, quindi il reggiseno e il corpetto di Simonetta Cesaroni. Non le scarpe. Che fine hanno fatto le scarpe di Simonetta? Nella relazione di servizio dell’8 agosto 1990 vengono descritte “accuratamente affiancate e con le punte rivolte verso la parete”.

Durante il processo di primo grado, nell’ipotesi proposta dal consulente del pubblico ministero (e accolta dalla Corte), le scarpe sarebbero state disposte in quel modo da Simonetta e non sarebbero più state toccate né spostate dopo l’omicidio. Ma potrebbe non essere così.

Almeno secondo il criminologo Carmelo Lavorino, nel 1993 consulente per la difesa di Federico Valle (indagato per l’omicidio e poi prosciolto insieme al portiere dello stabile, Pietrino Vanacore, accusato di favoreggiamento, ndr): «Le scarpe sono state disposte una accanto all’altra, in modo ordinato, molto probabilmente con la mano sinistra. Questo perché sono state afferrate e mantenute centralmente e poi posate. Se fossero state afferrate con la mano destra le punte sarebbero state dirette verso sinistra; invece la mano sinistra dirige le punte delle scarpe verso destra. La fotografia scattata da chi ha effettuato i rilievi dimostra che le scarpe vanno verso destra, quindi, sono state afferrate e poi posate con la mano sinistra. I due lacci liberi vanno da destra verso sinistra. Per lacci liberi mi riferisco a quelli esterni alle scarpe: quindi, scarpa sinistra lato sinistro, scarpa destra lato destro. Quando si posano le scarpe a terra i lacci pendenti anticipano la direzione e il verso, nel nostro caso è da sinistra verso destra. E il laccio della scarpa destra è leggermente sotto la suola, segno che prima si è posato il laccio sul pavimento, poi la suola: da sinistra verso destra». Non sarebbe stata analizzata la posizione delle scarpe. Né quello che le foto mostrano all’interno: due macchie di colore rosso brunito all’interno della scarpa destra, macchie che sembrano essere sangue. «Se così fosse, come è molto probabile, le scarpe, al momento dell’omicidio, sono state vicine alla vittima e al suo aggressore. Si dovrebbero analizzare per cercare eventuale tessuto epiteliale o tracce di sudore».

Una macchia di sangue scomparsa dal I grado

Eppure nel processo di primo grado a Raniero Busco nessuno ha mai parlato delle scarpe di Simonetta Cesaroni, accuratamente descritte in quella relazione redatta nel 1990. «Accanto a quelle scarpe in tessuto jeans marca Rontani, numero 37 c’è la presenza di una macchia di sangue, generata da un gocciolamento». E le foto scattate quell’8 agosto del 1990 lo evidenziano chiaramente. Allora perché non sono state analizzate?

Panorama.it lo ha chiesto all’avvocato Lucio Molinaro, legale storico della famiglia Cesaroni. Che ha rinunciato al mandato dopo 21 anni. Al suo posto è stato nominato Massimo Lauro, che già in primo grado ha assistito Paola Cesaroni. È la fine di un legame che nel tempo era diventato anche d’amicizia con la famiglia. Soprattutto con Claudio Cesaroni, il papà di Simonetta, morto nel 2005 per una pancreatite. «So di aver fatto tutto il possibile per ottenere la chiusura di questo caso. L’ho seguito come se mi riguardasse personalmente. Talvolta vedevo Simonetta come se fosse viva. Mi chiedeva di andare avanti, di cercare il suo assassino. Sono stato io a far ritrovare gli indumenti». Ma quello dell’avvocato è anche uno sfogo: «Si poteva e si doveva fare di più».

L’Avv. Molinaro: Non so che fine abbiano fatto le scarpe

Raffaella Fanelli

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