venerdì 9 marzo 2012

Tracce di assassino

Sarebbe bello scoprire, come d’incanto, che vi è una traccia, una traccia di sangue, un profilo
genetico quasi completo, che conduce all’assassino.
Sembra impossibile... eppure ...

La storia comincia il 27 agosto 1990.
Mirco Vanacore, ultimogenito di Pietrino, è a Roma da alcuni giorni. Ha raggiunto il fratello Mario
e la matrigna in via Poma, nella casa dei portieri. Serve unità nella famiglia sconvolta dal sospetto
che il padre rinchiuso nel carcere di Regina Celi, possa essere l’assassino di Simonetta Cesaroni.
C’è anche chi sospetta che loro stessi siano in qualche modo coinvolti nel delitto, o anche soltanto
consapevoli delle colpe del padre.
Mirco sicuramente non lo crede.
Spostandosi in ascensore sulla scala B nota su di un vetro interno due piccole macchie rossastre,
tutt’altro che invisibili, entrambe con uno sbaffo laterale.
Sembra decisamente sangue, e in quel palazzo è avvenuto un fatto di sangue.
Mirco avvisa immediatamente la matrigna che non esita – si noti, non esita – a chiamare l’avvocato De Vita, il difensore del marito, che a sua volta non esita ad informare la Questura.
Gli agenti si precipitano sul posto. Arriva anche Catalani.

Rimuovono il vetro ed ispezionano il vano ascensore fino al piano interrato, dove scorgono degli
stracci e altre tracce sul muro, sempre rossastre, sempre meritevoli di essere asportate.
Se quello fosse sangue, si avrebbe un indizio in più che l’assassino conosce molto bene i luoghi,
tanto da usare l’ascensore per portarsi in cantina, forse per servirsi di un luogo protetto dove
organizzare al meglio... “la fuga col fagotto”.
Si scopre lo stesso giorno che le cantine sono comunicanti fra scala B e scala F, che forse ci sono
percorsi alternativi all’uscita dalla porta della scala B.

Gli inquirenti, però, hanno un solo territoriale in mente, Pietrino Vanacore, e non si curano di
considerare la collaborazione dei famigliari nel rinvenimento delle tracce in ascensore, come un
elemento a favore della loro buona fede e quindi anche dell’indiziato.

Catalani ha fretta di avere risultati certi.
Il 3.9.90 incarica i prof. Arturo Pollo Poesio e Bruno Dallapiccola di analizzare i reperti sequestrati
nell’ascensore ma anche altre tracce fra cui quella di sangue sulla porta della stanza del delitto.
Catalani precisa:
L’esame deve comprendere anche la caratterizzazione molecolare (analisi DNA), a condizione che detto esame sia ripetibile per ogni singolo reperto

Il giudice non vuole rischiare di sprecare inutilmente e irrimediabilmente delle tracce organiche.
Deve tener conto che in quegli anni sono in via di perfezionamento le tecniche di analisi del DNA e
non si può escludere che li a poco siano possibili esami sempre più discriminanti.

Il 12.9.90, appena 9 giorni dopo l’incarico, i due consulenti forniscono per iscritto una prima
valutazione dei reperti.
Il sangue sulla porta sul lato interno è di gruppo A (saranno i primi a dirlo) ma, aggiungono i periti, non può procedersi oltre per non compromettere la ripetibilità dell’analisi, come aveva raccomandato il giudice.
E ora il vetro.
Le due tracce che per primo vide Mirco Vanacore sono di sangue umano e sono contrassegnate con i numeri 1 (quella nella parte inferiore del vetro) e 2 (quella superiore).




Tuttavia soltanto sulla n 2 vengono eseguite analisi di tipizzazione. Diranno in seguito i periti che sulla traccia n. 1 non era stata eseguita l’analisi del DNA (presumibilmente per non esaurire il campione).
Il ragionevole proposito di conservare campioni per future analisi, come richiesto da Catalani, e
la ovvia (ma ahimè sbagliata) deduzione che la traccia n. 1 provenisse dal medesimo soggetto,
conduce alla fatale decisione di preservare il contenuto di sangue della traccia n. 1.
Avessero saputo!

L’1.10.90 giunge la relazione conclusiva in cui si legge:
La goccia di sangue prelevata dal vetro dell’ascensore (sappiamo essere la traccia n. 2) dopo raschiamento con bisturi (l’asportazione è dunque totale).....tale procedura ha permesso di recuperare 125 ng di DNA."
Più avanti:
Il DNA estratto dal sangue della vittima e dalla traccia prelevata dal vetro dell’ascensore è stato analizzato per 7 polimorfismi ad elevato PIC (polymorphism information content) cioè un alto grado di variabilità interindividuale nella popolazione generale. Come tali sono particolarmente idonei alla caratterizzazione genotipica individuale
Infine i periti concludono:
La probabilità congiunta di aploidentità, cioè la probabilità che i due campioni appartengano ad una stesso soggetto, sulla base delle analisi effettuate è risultata di 99.53%"

Sperava altro Catalani.
Sperava che l’indicazione di un aggressore che si era ferito, tratto da quelle prime informazioni sul sangue della porta, fossero ribadite, e con maggior dettaglio, da analoghe risultanze sul vetro.
Invece no, era sangue della vittima, indiscutibilmente.
Catalani tenta ancora con altri consulenti di rinnovare le analisi del sangue sulla porta – incarico a
Fiori, Pascali e Destro-Bisol del 30.10.90 – raggiungendo risultati più dettagliati, ma non risolutivi.
Esplora ipotesi di commistione con il sangue di Simonetta, inseguendo nuovi sospettati – Federico Valle, senza successo.
Il vetro, che ora contiene una sola traccia – la n. 1 – (la n. 2 è stata completamente abrasa) e che gli inquirenti ritengono (erroneamente) appartenere della vittima, viene momentaneamente archiviato.

Passano 14 anni.
Un nuovo giudice sta esaminando con rinnovata passione le carte dell’inchiesta.
Si chiama Roberto Cavallone.
Parla con Claudio Cesaroni, pranza con lui, un anno prima che il papà di Simonetta torni da sua figlia.
Ma le carte sembrano dire tutto e niente e anche le perizie, ripetute più volte, criticate e
contraddette, fan venir voglia di ricominciare dall’inizio, di fare “tabula rasa”.
Ci si affida principalmente alla scienza che, si dice, ha fatto passi da gigante.
Si riprendono i vecchi reperti e se ne trovano di nuovi mai esaminati prima (corpetto e reggiseno).
Si decide di riesaminare anche il vetro.
Le analisi vengono affidate ad un collegio di periti: Garofano, Pizzamiglio, Moriani.
La traccia n. 2 non c’è più, constatano i periti, documentandolo con una fotografia.
La traccia n. 1 c’è ancora, parziale dicono i periti, ma dalla foto pare integra o comunque del tutto
somigliante a come era nel 1990.


Una prima relazione riepilogativa delle vecchie analisi sentenzia:

"Traccia n. 2 (vetro ascensore) gruppo sanguigno di fenotipo 0 e DNA di genotipo HLA DQ Alfa 4.4 oltre ad altri marcatori genetici che coincidono con quelli della vittima. "

Sarebbe stato meglio, per chiarezza, specificare anche la percentuale del 99,53%, ad evitare che qualcuno poi si confonda.
Magari un giornalista disattento, oppure un blogger, oppure... un Giudice.

Leggiamo le conclusioni contenute nelle Motivazioni della sentenza di corte d’assise di condanna di Raniero Busco:
Le tracce di sangue presenti sul vetro dell’ascensore erano risultate essere effettivamente sangue appartenente al gruppo 0, corrispondente tanto a quello della vittima che a quello del Busco, e tipizzato con il genotipo Delta Q Alfa 4.4, anch’esso comune alla vittima e all’imputato."

E’ una deduzione completamente sbagliata delle conclusioni peritali del 1990. Oltretutto riferendo il solo dato parziale, il giudice allude ad una possibilità inesistente e cioè che il sangue possa appartenere allo stesso Raniero Busco.
Il sangue è indiscutibilmente della vittima!
Questo è il dato processuale, mai contestato e quindi assolutamente fuori discussione.

Cosa può aver indotto il giudice a travisare le risultanze peritali del 1990 e perché non fa cenno in
sentenza alle analisi sul vetro fatte dai RIS?
La perizia condotta da Garofano Pizzamiglio e Moriani e cioè quella in cui si narra abbondantemente degli esami su corpetto e reggiseno, dedica un breve spazio al vetro dell’ascensore, e neanche si cura di specificare che si tratta della traccia di sangue n. 1, quella che stava 30 cm. sotto la traccia di sangue n. 2 identificata nel 90 come appartenente a Simonetta Cesaroni.

I periti liquidano la traccia in quattro righe:
un profilo genetico maschile ignoto e quindi non corrispondente ad alcuno degli individui oggetto della presente consulenza (forse la lista dei 31 nda) è invece emerso dalle tracce residue di natura ematica, ancora presenti sul vetro dell’ascensore."

L’informazione cruciale di un profilo genetico maschile rinvenuto sul medesimo reperto (vetro) in cui si è accertata la compresenza del sangue della vittima, viene sepolto fra migliaia di pagine che trattano di tutt’altro, con la sola notazione che il profilo non corrisponde a quello degli indagati.

Il 7 luglio 2010 durante l’udienza che si occupa per la prima volta delle prove scientifiche e la volta del maggiore Pizzamiglio.
Arriva il momento di parlare del reperto “vetro ascensore” di quelle due tracce di cui ne è rimasta una sola analizzabile.
.. qui sui due ….due diversi punti, già analizzati dai precedenti reperti (intende
ovviamente “periti” n.d.a.) diciamo che nella zona contrassegnata dal numero 2, era stato
completamente asportato tutto, quindi abbiamo provato in vario modo ma non siamo riusciti ad ottenere materiale genetico, invece da quella piccola striscettina di sangue, che in gran parte era gia stata portata via (questo non risulta affatto n.d.a.), abbiamo ottenuto un profilo sempre anche qui del Dna umano.
Anche in questo caso ce ne era molto di meno, abbiamo ottenuto un profilo quasi completo, che ci portavano a un altro soggetto di sesso maschile ignoto, diverso da quello del tavolinetto."

Ed ecco le deduzioni del maggiore:
"A questo punto è nata una prima esigenza investigativa soprattutto per quel che riguardava il vetro sul ... il sangue sul vetro dell’ascensore, che sebbene fosse stato trovato qualche settimana dopo il rinvenime... il rinvenimento del cadavere, quindi non era contestuale quel ... quel ... quel rinvenimento appunto del ... della vittima."

Eppure definire 'non contestuale' una traccia di sangue adiacente ad un'altra traccia di sangue di Simonetta pare alquanto azzardato.

Sembra quasi che Pizzamiglio voglia dare ad intendere che poiché le tracce sono state scoperte
dopo il delitto e appartengono a soggetto ignoto, possano essere estranee all’omicidio di Simonetta.

Argomentazione che crollerebbe miseramente se solo si accennasse al fatto delle analisi del 90
sulla traccia n. 2.

Ma a Pizzamiglio non viene in mente, per cui prosegue raccontando dei tentativi infruttuosi di associare quella traccia ad alcuni dei sospettati e poi ad altri ancora che nel corso di diciotto mesi gli vengono sottoposti.
In un batter d’occhio si ritrova a parlare dei calzini e abbandona l’argomento vetro.
Per una buona ora si parla degli esami sugli indumenti della vittima, di alleli e loci che promettono bene.
Segue una pausa e alla ripresa Pizzamiglio inizia con un riassunto che lo porta a dire:
...la maggior parte delle tracce ematiche rinvenute sul luogo del reato erano riferibili alla
vittima, compresa quella sul vetro dell’ascensore...
Era ora.

Finalmente Pizzamiglio accenna al sangue di Simonetta che si trovava sul vetro, la traccia n. 2, ma come prima aveva parlato della traccia 1 ignorando la 2, ora parla della traccia 2 ignorando la 1.
Sembra quasi non si voglia far capire.

Pizzamiglio non dice altro sul tema e nessuno degli avvocati compreso Loria richiede chiarimenti.

Il reperto “vetro ascensore” torna in archivio, forse per sempre.
La traccia di sangue che ha condotto al profilo genetico di un uomo diverso da quelli confrontati
dai RIS (e sarebbe bene avere contezza precisa a quali e quanti profili fu fatto il confronto), di un
uomo che quasi sicuramente stava trasportando i vestiti imbrattati del sangue di Simonetta – traccia 2 – e del suo sangue – traccia 1 – rimane ignorata da tutti, e forse continuerà ad essere ignorata malgrado questo articolo.

Bruno Arnolfo

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