martedì 24 luglio 2012

Le pulizie

E’ stato, quello delle pulizie, un argomento molto discusso dagli appassionati del caso e, naturalmente, anche dagli inquirenti.
E’ tuttavia evidente che nel caso degli inquirenti, l’interpretazione di quelle pulizie ha sofferto pesantemente del pregiudizio formatosi nelle indagini.

Nel 1990, il convincimento che l’assassino fosse Vanacore indusse a ritenere, almeno nel primo mese di indagini, che le pulizie fossero funzionali al proposito di occultare il cadavere.

Pensare il contrario, e cioè che le pulizie avessero lo scopo di cancellare le tracce di sangue lasciate dall’assassino, stonava con il fatto che il portiere non presentava segni visibili di ferite alle mani o alle braccia (è immaginabile che il suo corpo fu ispezionato).

Quando invece nel 2007 comincia a delinearsi l’ipotesi Busco, l’interpretazione delle pulizie muta radicalmente: non più il preludio allo spostamento del cadavere (incompatibile con i propositi di un esterno) ma la mera necessità di eliminare le tracce di una ferita subita, e poiché al nuovo sospetto non si può concedere il tempo per lavori troppo lunghi, pure si ridimensiona l’entità del sangue che fluisce all’esterno (emotorace). Indagati diversi, lettura dei fatti diversa.

Inutile dire che il postulato andrebbe invertito.

Tuttavia non è detto che anche spogliandoci di ogni idea preconcetta, sia possibile dirimere la disputa fra chi sostiene che le pulizie ebbero uno scopo piuttosto che un altro.
L’ipotesi del trasferimento del cadavere può certamente suggerire che si cominci a togliere una parte del sangue, ma non si capisce per quale ragione dovesse essere necessario far sparire anzitutto una parte dei vestiti, lasciando altri fagotti per un tornata successiva (scarpe, ombrellino e borsa, oltre al corpo).

D’altro canto, se è vero che la priorità dell’assassino era far sparire le macchie del proprio sangue, e quindi anche gli indumenti usati per assorbire tali macchie, come ha fatto l’assassino a scordarsi le vistose tracce di sangue sulla porta?

In entrambe le ipotesi le incongruenze possono essere corrette attraverso varie congetture (ad esempio, poiché le tracce di sangue sulla porta più vistose erano sul lato interno, potevano essere rimaste nascoste dopo l’apertura della porta), ma ciò non fa altro che confermare come sia difficile ricavare dalla scena del crimine una interpretazione precisa e univoca.

A meno che, nel leggere la scena del crimine, non sia sfuggito qualcosa.
Forse, come disse la De Luca a Volponi, bisogna guardare un po’ meglio.

Proviamo quindi a riguardare quelle immagini del corpo di Simonetta e del pavimento circostante, seppur nei limiti di immagini sgranate tratte da filmati televisivi. Intanto si scorge subito che le pulizie non riguardano l’immediato perimetro del corpo inerme della vittima. Le due pozze di sangue visibili all’altezza del bacino e della spalla, prodotte dalle ferite al pube, al torace e al collo, non sono contenute da segni di tamponatura con stracci o altro.

Lungo tutto il tronco e gli arti, non si apprezza alcun segno del passaggio di uno straccio, tanto che in alcuni punti sono visibili alcune macchioline di sangue completamente integre.
Ma allora dov’è che si è pulito?
L’agente della scientifica Ciro Solimene lo spiega in aula:

“poi sul pavimento, andando verso l'ingresso sono delle lievissime, lievissime diciamo tracce di sostanza presumibilmente ematica, ma proprio lievissima, proprio una velatura proprio ecco.” 

Queste velature sono visibili anche nelle fotografie e cominciano ad una certa distanza dal corpo, in direzione dell’ingresso.
Perché si è pulito in quel punto e non altrove?
Perché c’era del sangue in quella zona?

L’esame delle fotografie mostra anche un’altra cosa.
Mentre la scrivania di Carboni, pur ingombra di oggetti e di fascicoli, appare sostanzialmente “a riposo” nel senso che non mostra segni di un uso recente, e ciò in sintonia con l’assenza del responsabile fin dal venerdì precedente, sul tavolo posto subito a destra dell’ingresso, sembra scorgersi una qualche attività.

Si nota infatti un raccoglitore (di quelli con gli anelli) aperto come fosse stato usato da poco per ricercare delle pratiche, e poco a fianco, a bordo del lato lungo del tavolo, una pila di fogli in posizione adatta alla lettura. In breve una disposizione che suggerisce una attività interrotta (forse di due persone, una seduta che legge e l’altra in piedi che maneggia il raccoglitore) che non dovrebbe confacersi ad un ufficio il cui titolare è andato in ferie da alcuni giorni. In ogni caso, anche volendo trascurare il lieve indizio descritto, restano quelle tracce di pulizia a suggerire la possibilità che l’aggressione possa essere avvenuta a ridosso della porta d’ingresso e non in fondo alla stanza.

Senonchè si presenta una forte obiezione a questa tesi: con assoluta certezza Simonetta fu accoltellata nella zona anteriore della stanza, a ridosso della scrivania di Carboni.
A provarlo le pozze di sangue perfettamente adiacenti alle colature provenienti dal pube e dalla zona alta del torace. In altre parole, le stilettate furono inferte nell’esatto punto in cui il corpo è stato rinvenuto.
Allora come si spiegano le velature di sangue che precedono il corpo in direzione della porta?

Soltanto pensando ad altre ferite precedentemente inflitte a Simonetta o subite dall’assassino e che causano la fuoriuscita di sangue.
Sangue che deve essere e che verrà rimosso.

Accadimenti che suggeriscono una buona spiegazione per quelle pulizie cosiddette “parziali”, e che invece meglio sarebbe chiamare “circoscritte”.

Intorno a questa sequenza “in due tempi” dell’aggressione, si dipana forse la spiegazione di altri misteri. Se, infatti, fu l’assassino il primo a ferirsi e perdere sangue, è presumibile che l’arma d’offesa fosse in mano alla vittima, come del resto ha ipotizzato il PM nel processo di 1^ grado (Carella, invece, sosteneva essere l’assassino ad impugnare il tagliacarte per indurre la vittima a spogliarsi). Quindi Simonetta che per dissuadere l’uomo dai suoi propositi, lo minaccia con un tagliacarte (trovato casualmente su un tavolo o una scrivania) e infine, messa alle strette e senza via di fuga (l’uomo si trova fra lei e la porta), lo colpisce ferendolo.

La vista del sangue e forse il dolore stesso, pare una causa molto più scatenante una reazione feroce, di quanto possa esserlo il semplice diniego ad un approccio sessuale.

Il sangue che chiama altro sangue.
Una reazione subitanea e violentissima, usando il braccio e la mano sfuggite alla ferita, che colpisce alla tempia destra Simonetta, che cade in una zona fra la porta d’ingresso e la scrivania.
Forse è qui che l’assassino sale a cavalcioni della vittima, le stringe il collo (ecchimosi), le fa sbattere la testa sul pavimento fino ad ucciderla.
Forse è in questa azione che il fermaglio si rompe in tre pezzi (questa circostanza del fermacapelli è forse l’indizio più evidente che la vittima è stata spogliata dopo essere uccisa, essendo improbabile che dopo essersi liberata di pantaloni e mutandine, ancora conservasse il mollettone per capelli).

Sul pavimento il corpo esamine di Simonetta, e il sangue dell’assassino che ancora sgorga dalla ferita. Per un attimo l’assassino deve pensare a se stesso, deve tamponare la ferita, e forse fa uso del giubbino di Simonetta, quello con le righine blu.
Non è dato sapere, e non serve sapere, se in seguito l’assassino sia prima corso in bagno a pulirsi e fasciarsi la ferita, a telefonare o altro ancora, o abbia da subito deciso di infierire ulteriormente sul corpo della vittima.

Certo è che quando decide di farlo, Simonetta deve già essere morta, altrimenti non si spiegherebbe che le suppellettili vicino al corpo (armadio sedie e scrivania) non fossero imbrattate di sangue come accadrebbe se nelle vicinanze fosse trafitto un corpo ancora in vita e con pressione sanguigna normale.

La donna che ha mostrato disprezzo per le sue attenzioni e che, persino, ha osato trafiggere il suo corpo, merita il medesimo trattamento non una, non dieci, ma 29 volte tanto.
Con la stessa arma che la donna ha usato contro di lui e che ora giace in terra, a portata di mano. Nel compiere il massacro l’odio si tramuta in piacere e svela la natura malata dell’individuo.

Prima di agire, il corpo viene spostato, forse anche girato o ruotato. Trascinato per i piedi più vicino al muro, denudato quanto basta perchè lo strazio sia completo. Il sangue della vittima defluisce lentamente, ma di questo l’assassino non si cura. Deve pulire l’altro sangue, il suo.

Deve scomparire qualsiasi straccio o indumento entrato in contatto con quel sangue. Corpetto e reggiseno possono essere risparmiati. Ecco dunque che la scena del crimine sembra parlare in modo più chiaro.
L’assassino è un uomo a cui Simonetta non avrebbe mai concesso nulla.
Uno a cui decide, e questa la scelta fatale, di opporre persino un’arma, pur di non farsi toccare.

Se la dinamica è questa, e vi sono buoni elementi per pensarlo, è anche possibile che l’assassino, nel decidere di denudare il corpo di Simonetta, abbia anche voluto guastarne l’immagine, come a dire che lei si era offerta senza ritegno, e quindi andava punita.
In un certo senso, ci è riuscito.

 Bruno Arnolfo

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