venerdì 27 maggio 2011

Analisi delle motivazioni - quarta parte

L’alibi

Ad ulteriore suffragio della tesi accusatoria viene indicata la testimonianza di Giuseppa de Luca, moglie del portiere Pietrino Vanacore, la quale dichiarò all’epoca di aver visto uscire una persona intorno alle ore 18:00.

Estrapolando dalle risultanze dibattimentali, in particolare per quanto riguarda le informazioni aggiuntive ricavate da intercettazioni telefoniche, la Corte deduce che l’iniziale ed erronea identificazione nell’arch. Forza possa ben adattarsi per somiglianza fisica a quella dell’imputato.

Il passaggio chiave è il seguente:
"Rileva la Corte che non si può non cogliere una qualche somiglianza, anche in relazione all’età,(cfr. le foto prodotte dal PM ed acquisite agli atti all’udienza del 7/6/2010) tra il Forza che però quel giorno si trovava già in vacanza all’estero, e il BUSCO. "

Tuttavia, l’indicazione di Forza non era ricavata dall’aspetto, ma dall’abitudine di questi di portare un cappellino a visiera e per il modo di camminare, sicchè appare del tutto inutile postulare una somiglianza facciale fa Forza e Busco, avendo la De Luca riferito di aver visto l’uomo di spalle.

Non può inoltre tacersi il fatto che se la De Luca è ritenuta attendibile per il ricordo della persona vista alle 18:00 pure dovrebbe essere attendibile per quanto riguarda i ricordi relativi a Salvatore Volponi, a suo dire assiduo frequentatore del palazzo e che ebbe a presentarsi quella sera con il famoso : “signora si ricorda di me?” circostanza confermata anche da Mario Vanacore.
Ma poiché Volponi ha negato tutto, appare evidente che qualcuno mente, o la De Luca o Volponi stesso, con la conseguenza che è impossibile accreditare entrambi come testimoni affidabili, come viceversa si è fatto in questa sentenza.

Con l’avvistamento della De Luca delle 18:00 si conclude la striminzita narrazione relativa alla dinamica dei fatti.

Ora il Giudice si occupa dell’alibi di Raniero Busco e così esordisce:
In merito all’alibi va preliminarmente precisato che emerge in modo univoco dagli atti che nel 1990 non vennero fatti accertamenti sull’alibi del BUSCO relativo al pomeriggio di quel 7 agosto.

Dunque si afferma che nell’inchiesta del 1990, Raniero Busco si giovò di una singolare disattenzione da parte degli inquirenti, per cui non solo questi non gli chiesero l’alibi durante l’interrogatorio notturno, ma nemmeno si curarono di verificare in seguito come avesse trascorso il pomeriggio del 7 agosto 1990.
A provare questo, secondo l’assunto del Giudice, vi sarebbero anzitutto le carte dell’inchiesta del 1990, laddove proverebbero, ove presenti, che non fu chiesto l’alibi (il verbale dell’8.8.90) e, ove assenti, che non fu accertato.
Se però si vuole che le carte siano decisive, occorre pure dimostrare che fosse usuale all’epoca formalizzare con scrupolo ogni cosa.

L’assenza di documentazione in atti deve quindi coincidere con l’assenza di attività investigative in direzione del fidanzato della vittima, perché se così non fosse si avrebbe la prova, non solo di una attenzione verso il Busco che ora si vorrebbe negare, ma pure l’attitudine a non formalizzare ogni cosa.
Un indizio evidente di questo modo di procedere si ha il pomeriggio dell’8 agosto quando Raniero Busco fu nuovamente prelevato per essere sottoposto ad interrogatorio (non verbalizzato), mentre in contemporanea veniva eseguita una accurata perquisizione presso la sua abitazione, di cui non è presente agli atti alcun riscontro (fonte deposizioni processuali di Cavaliere, Del greco e la madre di Busco).

E’ dunque clamorosamente evidente che, a dispetto del “silenzio delle carte”, nelle prime ore furono condotti accurati accertamenti nei confronti di Raniero Busco che certo non potevano prescindere dal sapere, o tentare di sapere, dove si trovasse quel pomeriggio. E non è un caso che proprio quel pomeriggio venga acquisito dal teste Palombi – questo fortunatamente agli atti – il riscontro relativo alla presenza di Raniero Busco alle 19:45 presso il bar dei portici.

Probabilmente gli inquirenti supposero, forse a torto, che l’essere stato al Bar in orario comunque antecedente le 19:45 (Palombi non lo vede arrivare alle 19:45 ma è lui che arriva alle 19:45 e Raniero già sta li) costituiva un alibi sufficiente a scagionarlo, proprio in forza dell’orario delle telefonate fatte dalla vittima la cui chiusura alle 17:35 si pone in forte contrasto con la tempistica del delitto e l’arrivo al bar. E’ possibile che riscontri fatti “a voce” avessero confermato la notizia fornita da Palombi e forse esteso la sosta nei pressi del bar (pare che in quella data il Bar fosse chiuso per ferie).

E’ dunque evidente che le carte non documentarono ogni attività di indagine.

Un breve cenno merita anche il tentativo del Giudice di suffragare la tesi dell’alibi non chiesto e non verificato, laddove si avvale di un brano della deposizione resa in aula dall’ispettore Gobbi, nella quale il Pubblico Ministero ottiene una conferma dal medesimo circa la possibilità che si fosse dedotta l’estraneità di Raniero Busco dal fatto che il rinvenimento del cadavere – ore 11:30 – coincideva con la permanenza al lavoro all’Alitalia dello stesso.

Ora è evidente che la conferma ottenuta da Gobbi, vale al massimo per le prime ore di interrogatorio (in piena notte) quando forse non si avevano elementi per dedurre l’ora di commissione del delitto, ma anche ammettendo vi fosse inizialmente questa convinzione di estraneità, essa svanì nel pomeriggio quando, come già detto, fu disposta la perquisizione a casa del fidanzato, e quando sicuramente erano disponibili le prime informazioni sull’autopsia.

E’ dunque chiaro che fu svolta in direzione di Raniero Busco una pesante attività investigativa, che certo non collima con la negligenza che il Giudice pretende oggi di imputare agli inquirenti del 1990, laddove suppone che non vennero fatti accertamenti sull’alibi dell’attuale imputato.

Nulla impedisce, sia chiaro, di criticare l’operato degli investigatori dell’epoca, financo nelle persone del capo della Mobile, della Omicidi e della Procura della Repubblica, il dr. Catalani.
Forse vi fu approssimazione nelle prime indagini, poca accuratezza nei riscontri testimoniali, sicuramente scarsa cura nelle annotazioni a verbale, tutti elementi che possono far pensare ad errori anche gravi, compresa la possibilità che l’alibi di un sospetto non fosse verificato con cura e dato per buono, anzichè dubbio.

Ma addirittura pretendere che vi fosse da parte dei soggetti sopra menzionati una tale negligenza da omettere gli usuali controlli di rito, non è soltanto irriguardoso, ma palesemente inverosimile.
Eppure il Giudice di 1° grado sostiene con accanimento la tesi che l’alibi non fu chiesto e non fu accertato.

Perché?
Perché un conto è procedere contro un sospetto con il peso di accertamenti che all’epoca furono infruttuosi, altra cosa è procedere supponendo che gli accertamenti furono inesistenti.

Questo permette di procedere con affermazioni come quella che si legge a pag. 86:
Per la prima volta BUSCO era stato sentito sul suo alibi nel 2004 e aveva asserito che quel pomeriggio lo aveva trascorso in compagnia di Simone Palombi al bar dove si riuniva la comitiva, cioè al bar portici…

Poche righe che hanno il pregio di sommare due asserzioni che esprimono entrambe, false certezze.
La prima – Busco sentito per la prima volta sull’alibi nel 2004 - è una ipotesi inverosimile per le ragioni già dette.
La seconda – l’indicazione di Palombi - è soltanto presuntiva poiché come sa benissimo il Giudice, Raniero Busco disse di non ricordare e invitò i magistrati a verificare sulle carte del 90 i fatti da lui riferiti riguardo al pomeriggio del 7 agosto, e solo dopo espresse la possibilità e non la certezza, di essere stato con Palombi quel pomeriggio (cosa peraltro in parte vera, come vedremo dopo).

Il Giudice procede imperterrito ed evidenzia la contraddizione con quanto dichiarato da Palombi nel 1990 riguardo al noto viaggio a far visita alla zia morente.
L’unica riflessione lecita di fronte a tale fatto e che Raniero Busco non si curò di prefabbricarsi con l’aiuto di chicchessia alcun alibi, per cui riferì semplicemente ciò che vagamente ricordava, incurante, a riprova della buona fede, di poter incorrere in una smentita, peraltro soltanto parziale (su questo si ritornerà in seguito).

A nulla serve, come fa il Giudice, esibire l’intercettazione ambientale fatta prima del confronto fra i due, nell’anticamera del Procuratore, posto che il colloquio non ha mostrato alcuna evidenza che faccia risaltare la malafede dell’imputato, salvo che nelle torbide elucubrazioni del giudicante.

Più avanti l’estensore cita la circostanza che Raniero Busco, a seguito di una trasmissione televisiva del gennaio 2007, si presentò agli inquirenti per indicare altri testimoni.
A parte il fatto che probabilmente l’iniziativa non consegue alla trasmissione televisiva, ma a richieste specifiche dei magistrati,viene da considerare il modo curioso con cui la Procura procede nelle indagini riguardo all’alibi di Raniero Busco.

Non assume direttamente le informazioni a mezzo dei Carabinieri con interviste agli amici di Raniero e Simonetta (facilmente rintracciabili chiedendo alla famiglia Cesaroni o cercando agli atti) oppure controllando all’anagrafe i residenti all’agosto 90 nella via dove abita Busco, per poi interrogarli direttamente, senza farsi consigliare i testi dal sospetto.

Non avvia presso gli organi di polizia del 1990 adeguati riscontri delle attività di indagine che furono fatte in direzione del fidanzato della vittima (mai convocati in Procura sia Cavaliere sia Del Greco), se non quelle funzionali alla costruzione fasulla dell’alibi coincidente con il turno di notte all’Alitalia di sui si è già detto in precedenza.
Forse il PM poteva indurre l’agente Gobbi a rispondere in modo “consono” alle attese, ma è impensabile che gente del calibro di Cavaliere e Del Greco si sarebbero fatti “trastullare” nel giochetto del PM.

Vien da pensare quindi che la scelta di consegnare l’iniziativa al sospetto sia stata seguita al solo scopo di indurre Busco a fare qualche passo falso, da “certificare” poi in intercettazioni telefoniche.
Passi questa strategia di lasciar fare al sospetto, ma allora si tenga in debito conto (e lo faccia anche il Giudice) che le intercettazioni a carico di Busco, pur tantissime, non hanno dato alcun esito.
Gli unici riscontri sono emersi a carico delle vicine di casa, per le quali è forse possibile ipotizzare una qualche intenzione di “dare una mano”.
Quel che è certo, però, è che non sono emersi in queste intercettazioni, né in altre, elementi che provino ciò che infine conta e cioè la presenza di Raniero Busco in via Poma o, quantomeno, l’uscita di casa in auto in fascia oraria sospetta.

Diverso il caso degli amici di Busco, in particolare Luigi Poli che nelle risultanze delle deposizioni rese al PM nel 2007, appariva molto credibile e affidabile.

Il Giudice tenta di screditarne l’attendibilità valendosi di una intercettazione telefonica nella quale Luigi Poli conversa con Samanta Dionisi. Ora in questa conversazione non si ravvisa nulla, ma proprio nulla di significativo, sia riguardo all’attendibilità del teste, sia in direzione di una qualsivoglia compromissione di Busco nel delitto.

Il Giudice ricorre unicamente a delle suggestioni, e questo si appalesa in tutta evidenza quando estrae una frase riferita a Raniero dal contesto della conversazione con la Dionisi: “qualche mezza cazzata strana”, pretendendo di attribuirvi un qualche arcano significato che tuttavia evita di spiegare.

Sorprendente è però la conclusione, ove si vorrebbe decretare l’inattendibilità di Priori e Poli.
Si legga con attenzione:
In sintesi, con riferimento alle testimonianze dei tre amici, (Palombi, Priori e Poli), si può concludere che le uniche indicazioni che sono risultate attendibili provengono dal Palombi, che ha riferito di essersi recato al Bar al suo rientro a Roma, intorno alle 19:45, incontrandovi oltre al Busco anche Poli e Priori, laddove questi ultimi “desumono” di avere visto il BUSCO quel pomeriggio di tanti anni prima in ragione delle loro abitudini quotidiane…

Come si vede è del tutto inutile disquisire se Poli e Priori hanno ricordato un’abitudine o una realtà essendovi certezza che entrambi fossero in compagnia di Busco quel giorno, avendo questa presenza congiunta alle 19:45 il riscontro del teste Palombi, a cui il Giudice non può fare a meno di credere.
Dal verbale dell'8 agosto (h 17.00) di Simone Palombi:
... verso le ore 19.45 sono uscito dalla mia abitazione e mi sono recato al bar dei portici ove ho incontrato il mio amico Busco Raniero insieme ad altri amici comuni. Dopo aver salutato Raniero che come ripeto era in compagnia di amici ed esattamente Luigi Poli e Fabrizio Priori, ho comprato le sigarette e …

E’ indubitabile quindi che i testi sono attendibili, e se anche si dovesse ritenere impreciso o insufficiente il loro ricordo, niente può indicare che vi è stata l’intenzione di compiacere l’amico.

Infine le vicine di casa.
Gli elementi prodotti dall’accusa, sebbene privi di evidenze clamorose, possono sicuramente inficiare l’attendibilità della Di Giacomo e della Pellucchini tanto che il Giudice ne approfitta per prodigarsi in disquisizioni, una volta tanto articolate e precise.
Meno convincente appare invece la confutazione della teste Pierantonietti, frettolosamente liquidata come troppo sintetica e apodittica, al punto che non si capisce cosa si voglia dai testimoni, dal momento che non piacciono quelli troppo precisi – Di Giacomo – e nemmeno quelli troppo sintetici.

Inutile aggiungere che le deposizioni della madre, dei due fratelli e dello stesso imputato, pur largamente riprese con un’ampia riproduzione testuale delle deposizioni, non offrono spunti per particolari riflessioni del giudicante, sicchè non è utile parlarne.
E utile viceversa parlare delle osservazioni che la Corte svolge a pag. 104 a confutazione dell’alibi prodotto dall’imputato.
Nel farlo l’estensore illustra dapprima la tesi difensiva che in sostanza può sintetizzarsi come segue.
Non poteva essere accaduto che gli inquirenti non avessero chiesto l’alibi a Raniero, altrimenti non sarebbe seguita la perquisizione a casa sua, a riprova di un evidente sospetto nei suoi confronti, incompatibile con l’indifferenza verso l’alibi.
Quindi se in seguito gli inquirenti cessarono di occuparsi di lui, evidentemente erano stati soddisfatti dall’alibi fornito, e questi non poteva che coincidere con quelli forniti dalle amiche della madre.

La riproduzione della tesi difensiva da parte del giudice è corretta, tranne che per la parte finale che, come vedremo, è del tutto arbitraria.

Si guardi ora a come prosegue il Giudice:
Questa ricostruzione, peraltro sconfessata dagli investigatori dell’epoca che hanno concordemente escluso che BUSCO fosse sospettato poichè aveva dichiarato di ignorare il luogo in cui Simonetta lavorava quei due pomeriggi a settimana (sull’estraneità ai fatti del BUSCO ritenuta dagli investigatori dell’epoca, si veda anche più sotto il racconto di Marzi Giampiero, teste disinteressato e dal nitido ricordo) è contraddetta dalle intercettazioni telefoniche che dimostrano la ricostruzione compiacente delle testimonianze di alibi, accortamente orchestrate dalla madre, di cui si è detto e su cui appresso si tornerà.

In questo passaggio vi sono due affermazioni che meritano la più netta e risoluta censura.

La prima è rappresentata dal fatto che si nega ciò che è evidente per qualunque persona di buon senso, e cioè che la perquisizione venne disposta proprio perché insospettiti dal fatto che Busco ignorasse dove lavorava la fidanzata. Tuttavia, qualora permanga qualche dubbio può sempre rimediarsi nel processo d’appello chiedendo al dr. Del Greco quale fosse il bizzarro motivo che lo spinse ad agire in quel modo.

La seconda affermazione indica invece una contraddizione fra ciò che la difesa avrebbe affermato – l’alibi fornito dalle vicine di casa che avrebbe convinto gli investigatori dell’epoca – e le intercettazioni che proverebbero la mendacia delle medesime testimoni.

Pur dando per scontato che le testimonianze delle vicine di casa siano mendaci, è falso che la difesa abbia affermato che furono queste signore a persuadere gli investigatori del 1990 circa l’alibi di Raniero Busco.

Falso e ridicolo perché le stesse testimoni hanno affermato di non essere mai state sentite all’epoca dei fatti. E la stessa PM esordisce in aula con la Pelucchini dicendo “Signora, lei è stata sentita per la prima volta 17 anni dopo il fatto...

Può valere ad ulteriore riprova dell’inaccettabile postulato del Giudice, la stessa deposizione processuale di Raniero Busco, nella quale egli si limita ad indicare che quel giorno lavorò nell’officina di casa per poi recarsi al Bar dei Portici per incontrare gli amici, come d’abitudine era solito fare tra le sei e le sette di sera.

Nessuna pretesa quindi di associare le testimonianze di oggi a quelle dell’epoca dei fatti, come erroneamente dedotto dal Giudice, per giunta con l’ulteriore malizia di selezionare soltanto le testimoni insidiate dalle note intercettazioni telefoniche.

Un cenno merita anche il riferimento alla madre dell’imputato - Teatini Giuseppina – che il giudice richiama all’attenzione per sottolinearne il comportamento eccessivamente apprensivo tenuto nell’immediatezza degli eventi, ma anche nelle fasi successive.

Gli argomenti proposti dal giudicante si concentrano soprattutto nell’intervista del 3.9.90 del giornalista Marzi, fatta a Raniero Busco e, in sostanza, anche alla madre, pronta a “intromettersi” nel racconto del figlio per sottolineare, dice il Giudice, l’alibi del lavoro nell’officina di casa.

Può forse stupire la sollecitudine della Teatini, ma da qui a sostenere che la stessa avesse “timori rivelatori” per l’alibi del figlio, ce ne passa.

Del resto se la madre aveva motivo di temere per l’alibi, allora bisognerebbe ammettere che tale insidia era portata dagli inquirenti persino a distanza di due mesi dal delitto, con buona pace dell’asserita indifferenza verso Busco degli inquirenti del 1990.

Merita invece di essere riprodotta la parte conclusiva della trattazione inerente l’alibi, ove si legge, tra il resto:
E’ indubbiamente molto anomalo, pur dando per scontato che il BUSCO fosse il meno “coinvolto” fra i due nella relazione amorosa, che i fatti di una giornata così particolare, (e sui quali egli asserisce anche di essere stato interrogato nel ’90 e proprio sui suoi movimenti del pomeriggio, per di più a suon di ceffoni e con l’ostensione delle foto del cadavere, e dunque avendo validissimi motivi per ricordare), in cui si era consumata la barbara e misteriosa uccisione della sua fidanzata ed in cui lui era stato prelevato da una Volante della Polizia in piena notte e poi trattenuto per molte ore in Questura, fossero caduti nell’oblio insieme a quelli di tanti altri giorni uguali uno all’altro. "

Nel desolante panorama di motivazioni generose soltanto nel riprodurre le argomentazioni peritali, ma stringate e parziali nel riferirsi alla dinamica dei fatti, il Giudice offre finalmente uno spunto interessante, disegnando in modo ineccepibile la singolarità del ricordo offerto dall’imputato riguardo a quella notte.

Sarebbe tuttavia ingiusto cogliere unicamente la goffaggine dialettica di Busco nel descrivere gli eventi, e non anche l’ingenuità del medesimo nell’assecondare le ambigue trame degli inquirenti. E non si allude tanto alla disponibilità a sottoporsi ai vari esami richiesti, ma all’aver accettato di essere lui stesso ad indicare chi poteva averlo visto quel giorno.
E’ questo a precipitarlo in un vortice di malintesi, di malizie investigative e di mezzi inganni, che infine si traducono nella rappresentazione dell’alibi contraddetto, di cui Palombi è il “portavoce”.
Ma a dispetto delle convinzioni del Giudice e, a ben vedere, di molti osservatori, non è affatto vero che Palombi ha contraddetto l’alibi indicato da Raniero Busco. Palombi confermò invece di essere stato con Raniero, ma solo dalle 19:45, per cui il ricordo di Raniero era sostanzialmente esatto, seppur impreciso.

Una indiretta conferma si ha dal fatto che quando la Procura oppone a Busco il racconto della zia morente (senza però dirgli che poi passò al bar alle 19:45) e quindi facendogli sentire il “fiato sul collo”, Busco fornisce altri due nomi – Priori e Poli – che coincidono proprio con i nominativi a suo tempo indicati da Palombi come persone che stavano con Busco.

E’ una conferma clamorosa della buona fede di Raniero e persino della sua buona memoria, dal momento che lo stesso Palombi in aula non sarà in grado di ricordare questi nominativi.
Non paghi gli inquirenti (Raniero azzecca i nomi giusti e non dice nulla di compromettente al telefono, tantomeno cerca di influenzare gli amici Priori e Poli che infatti confermeranno in modo vago) danno ad intendere a Raniero che ancora mancano conferme, che forse la ragazza era morta prima, che sarebbe meglio avere un alibi anche per metà pomeriggio.

E’ finalmente compaiono i testimoni ideali (per l’accusa): le amiche della madre. Loro, qualche stupidaggine riescono a dirla al telefono.

Bruno Arnolfo

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