lunedì 2 maggio 2011

Corriere della Sera: "Via Poma, la condanna di Busco e i dubbi su una sentenza ambigua"

Le sentenze della magistratura si rispettano, su questo non si discute, per carità. Però, neppure si discute sul fatto che poi possano essere commentate. Da chiunque.
E francamente le ambiguità, le ombre e i dubbi che accompagnano le motivazioni della sentenza con la quale la Corte d' Assise ha condannato Raniero Busco a ventiquattro anni di carcere per l' omicidio di via Poma avvenuto venti anni fa, sembrano enormi.

Tant' è che, pur considerando l' immenso dolore e la esasperazione della famiglia Cesaroni, forse sono apparse un po' precipitose le dichiarazioni della sorella Paola, di soddisfazione e di sollievo.

Qui si rischia che un probabilissimo innocente vada in galera e il colpevole la faccia franca.
Ma andiamoli a vedere questi dubbi, uno per uno.

Innanzitutto, l' ora della morte. Non essendo stata presa la temperatura del cadavere della povera Simonetta, non è certa. Senonché, c' è un elemento che fa da «spartiacque», e deve essere considerato con attenzione, per quanto riguarda l' ora: è la telefonata che avviene alle 17 e 35 fra l' ufficio di via Poma e l' ufficio in cui c' è una collega di Simonetta, la signora Berrettini. All' altro capo del filo c' è una voce femminile. Se è quella di Simonetta, il delitto è avvenuto dopo. Quanto? Vogliamo considerare - a meno di una concomitanza immediata - almeno un quarto d' ora? Minimo? Dunque, se il delitto avviene un po' prima delle sei è il colpevole è Busco, qualcuno ci vuole spiegare come ha fatto il ragazzo, in poco più di un ora - consumato un omicidio atroce - a pulire meticolosamente l' ufficio e a tornare dal quartiere Prati a Morena dove fu visto al bar poco dopo le sette? Se, invece, l' ora del delitto è prima, a chi appartiene la voce femminile che la Berrettini ascoltò? E, visto che siamo in tema di telefonate: a chi appartiene la voce maschile che per due volte, la sera del delitto, alle otto e alle undici, telefonò da via Poma in campagna, dove si trovava il titolare dell' ufficio in cui lavorava Simonetta, il signor Caracciolo di Sarno?

Inoltre: qualcuno può spiegarci - se a compiere il delitto è stato Busco - che in quel palazzo di via Poma non era mai stato, quale è la «logica» che presiede ai fatti? In altre parole: c' è un atto barbaro di violenza inaudita (dovuto a un raptus, alla negazione di un rapporto intimo, a un litigio); la ragazza è morta; e l' omicida che fa? Invece di scappare, di darsela a gambe, nel timore che qualcuno possa entrare nell' ufficio, rimane lì a pulirlo meticolosamente. Perché? E perché mai, sempre col rischio di essere colto sul fatto, o di destare sospetti, avrebbe dovuto portar via con sé alcuni degli indumenti di Simonetta? A che scopo?

Infine, se come pare, sulla maniglia della porta dell' ufficio è stato trovato sangue della povera Simonetta e sangue compatibile con quello del Busco, da dove veniva il sangue di Raniero Busco, visto che nessuno degli inquirenti di allora accertò sulla sua pelle una ferita (la stessa ferita che, al contrario, fu cercata sulle braccia di un sospettato poi prosciolto, e cioè il giovane Valle)?

E ancora. Nessuno sapeva dove lavorava Simonetta. Stranissimo. Non lo sapeva la sorella Paola che l' accompagnò con il fidanzato alla metropolitana verso le tre (che però con Simonetta aveva gran confidenza: le diceva tutto). E non lo sapeva neppure il datore di lavoro di Simonetta, Salvatore Volponi. E questo, francamente è clamoroso. Tanto più che a fronte delle dichiarazioni del Volponi che in questi anni ha fatto di tutto per non essere interrogato, ci sono quelle della moglie del portiere Pietrino Vanacore che ha invece dichiarato di averlo visto in via Poma.
È vero? Chi mente?

Così, passiamo a un personaggio fondamentale di questo processo, Vanacore, che un anno fa, alla vigilia dell' interrogatorio, si è tolto la vita esasperato, a suo dire (i cartelli e biglietti lasciati prima di uccidersi) per i sospetti. Ma quali sospetti? Dopo essersi fatto ventisei giorni di carcere per reticenza, il Vanacore è stato scagionato completamente nei vari gradi dei processi che si sono seguiti. Si era ritirato in Puglia, e lì stava. Ora, francamente, al di là del possibile stress del Vanacore (che la giustizia considerava innocente), come è possibile non rimanere turbati da un suicidio che avviene alla vigilia di un interrogatorio? Cosa sapeva Vanacore? Sapeva qualcosa che non ha detto e che gli pesava sulla coscienza? E per quale motivo la sua agendina fu trovata fra gli oggetti della povera Simonetta? E per quale motivo sua moglie fu così restia a consegnare le chiavi dell' ufficio? E, sempre a proposito di chiavi, come mai le chiavi di Simonetta (le chiavi dell' ufficio) sparirono dalla sua borsa? Se il colpevole è Busco, quale «logica» presiede alla sparizione delle chiavi?

Veniamo quindi di nuovo a Busco. L' accusa sostiene la irrefutabilità delle prove scientifiche: il Dna compatibile e il morso. La difesa sostiene che non sono affatto sufficienti. È uno scontro di periti, che i venti anni di distanza rendono ancora più incerto di quello che è. Mentre non può esserci alcuna incertezza - e questo è davvero stupefacente, per quanto riguarda la sentenza - sulla totale assenza del movente di questo omicidio. Ma insomma. Come le stesse amiche di Simonetta e le sue lettere hanno rivelato, fra Raniero e Simonetta c' era una relazione affettuosa e intima che però non andava al meglio: lei voleva più affetto, qualcosa in più. Ora, alla vigilia della partenza per le vacanze - che i due ragazzi avrebbero fatto ciascuno per conto proprio - dopo un paio di giorni da un rapporto affettuoso e intimo fra i due avvenuto in un luogo tranquillo, dobbiamo immaginare che un ragazzo che si sente anche un po' freddo, non disponibilissimo nei confronti della sua ragazza, va a cercarla fino all' ufficio in cui lei lavora e si macchia di un delitto che, per la sua dinamica (ventinove coltellate inferte in tutto il corpo e specificamente nelle zone erogene con sadismo) è il tipico delitto che rivela la disperazione degli impotenti o dei respinti?
Era così grave la crisi fra Simonetta e Raniero che, un paio di giorni prima avevano fatto tranquillamente l' amore? Proprio no. Tant' è vero che gli inquirenti di allora, immediatamente lasciarono andare il Busco e per tutti questi anni la famiglia Cesaroni non si è sognata di sospettarlo.

In conclusione: non ci siamo proprio.

Chi ha ucciso Simonetta, una splendida ragazza innocente vent' anni fa, conosceva bene il palazzo di via Poma. Non veniva dalla lontana periferia: cioè da un altro mondo. E certamente scagionano Busco tutti i gravi punti interrogativi irrisolti.


Giorgio Montefoschi

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1 commento:

  1. Penso sia estremamente difficile credere al suicidio dell'ex portiere di via Poma.

    E' stato condannato Raniero Busco: ci sono prove assolutamente certe della sua colpevolezza?
    Ho letto che una delle motivazioni della sentenza è la seguente: "E’ certo che la ragazza ebbe ad aprire ad una persona che conosceva ..."
    Significa che la povera Simonetta Cesaroni non ha opposto resistenza?
    Può darsi.
    E se chi ha commesso un tale orrore avesse avuto con sè una pistola?
    Arma non usata perchè troppo rischioso...
    E' possibile fare questa ipotesi?

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