venerdì 28 gennaio 2011

Il Tempo: "La ghigliottina per Raniero Busco"

Nel processo per il delitto di via Poma serviva un colpevole. E l'ex di Simonetta Cesarone è il capro espiatorio.

Non c’è bisogno di essere un esperto detective o un insigne studioso di procedura penale per capire una cosa lampante: hanno condannato Raniero Busco al di qua di ogni ragionevole dubbio. Se si può condannare un uomo per una sommatoria di indizi a dir poco inconsistenti, che ho visto smontare per l’ennesima volta a «Porta a porta» dal legale di Busco, Paolo Loria, c’è del marcio in Italia. Non solo. Qui c’è di mezzo una dimensione statolatrica alquanto inquietante: è stata accolta l’aggravante della crudeltà del delitto, dunque Busco diventa oggetto di «attenzioni» particolari. Se passerà in giudicato la sentenza, gli sarà tolta la patria potestà; interdizione a vita dagli uffici pubblici, per citare due operazioni di massima attenzione nei confronti di quest’uomo.

Lo Stato avrà un colpevole su misura e sulla vita di Busco penderà la «summa injuria". Loria - ripeto -ha smontato la ben nota prova del Dna, a partire da un nodo inoppugnabile: non esiste un Dna "compatibile" con un altro. O è quello o non lo è. Ma riflettiamo su tre variabili in gioco: a) se è passata l’aggravante della crudeltà, perché non è stato comminato l’ergastolo a Busco? Evidentemente, la via mediana, già di per sé inaccettabile, poteva essere una decisione adatta a trovare un colpevole, potendo poi appellarsi a qualcosa di inaccettabile: cosa? b) Parole dell’avvocato Massimo Lauro, che assiste la sorella della vittima: «Almeno, in teoria adesso la parte che rappresento sa chi ha ucciso Simonetta». La semantica è fondamentale: esiste un colpevole «in teoria»? Allora si sapeva già fin dall’inizio che si sarebbe trattato di una condanna ad uso e consumo della famiglia di Simonetta e dei media. Inquietante.

Le parole sono importanti. Quando si dice così, si nega lo statuto della vita umana e della sua dignità: il capro espiatorio è pronto, di altro non vogliamo discorrere. Infatti, Lauro, a «Porta a porta», ha replicato a Loria: «Compatibilità o identità del Dna, si tratta di semantica. La sostanza è un’altra». No, qui la semantica c’entra, eccome. Con una semantica precisa si salva una vita, con lo scarabocchio ideologico, si azzera un mondo, fatto di relazioni e speranze. A nessuno interessa ciò? C) Andrea Magnanelli, il legale rappresentante del Comune di Roma: «Domani Roma si sveglia con un mistero in meno». Infatti, il nodo è proprio questo: chiudere ad ogni costo con il delitto di Simonetta Cesaroni. Chiudere. Ad ogni costo. È un metodo antico: hai bisogno di un colpevole, chiunque può diventarlo. Chiunque sia parte di quello scenario e di quell’ambiente.

Prima attacchi Busco sull’alibi, poi lo pieghi su indizi risibili, infine stravolgi perfino le pratiche documentali sul Dna, con esibizioni di «compatibilità» non accettabili in un dibattimento. Il combinato disposto della ricerca della rassicurazione della famiglia Cesaroni e della società - abbiamo il colpevole! - ha prodotto un monstrum penale e giuridico. La verità in assoluto è cosa che riguarda le facoltà divine. Solo Dio conosce la verità. Ma il dibattimento serve a far emergere quelle prove necessarie a produrre una condanna al di là di ogni ragionevole dubbio. Che non è «la» verità. Certo è qualcosa che ti tiene al di qua della linea di Dio. Solo chi si sente Dio condanna con un carico di fragili indizi. «Fiat justitia, pereat mundus», ripeteva Kant in ogni occasione ai giustizialisti del suo tempo. Ce l’aveva con gli inventori della ghigliottina. Chiaro il messaggio? Così cadono le teste. Degli innocenti.

Raffaele Iannuzzi

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