venerdì 14 gennaio 2011

Raffaella Fanelli per Panorama: "Busco: non ho ucciso io Simonetta Cesaroni"

«Morire… ecco come mi sento. Mi sento morire».Raniero Busco non dice altro. La gambe tremano come la sua voce, ha 39 di febbre, per questo in aula non si è presentato. Non ha sentito quella richiesta arrivata dal pm Ilaria Calò al termine della sua lunga requisitoria. Per il rappresentante della pubblica accusa non ci sono dubbi: sarebbe stato Raniero Busco, il 7 agosto 1990, ad uccidere con 29 colpi di tagliacarte Simonetta Cesaroninegli uffici romani degli Ostelli della gioventù. E per questo ha chiesto una condanna al carcere a vita. «Nessun dubbio sulla responsabilità di Busco – ha detto il pm Ilaria Calò – nessun dubbio sull’esistenza dell’aggravante della crudeltà». Ergastolo. «Lo sapevo, l’avvocato Loria mi aveva preparato, mi aveva detto che sarebbe stata questa l’unica richiesta possibile… eppure mi sento impazzire, tutto è un incubo. Tutto». La voce soffocata dalle lacrime, dalla disperazione. «Vorrei che riuscissero a leggere nel mio cuore, nella mia mente, vorrei che riuscissero a vedere la mia innocenza, a capire chi sono. Tutto questo è una pazzia». La richiesta del carcere a vita per Raniero Busco, per quanto scontata, non appare certo la soluzione di questo orribile delitto, la sensazione è che ci sia ancora qualcosa rimasto in sospeso.

«Come si fa a chiedere l’ergastolo senza un movente?» Roberta Milletarì, la moglie di Raniero, pretende di capire. «Ho seguito tutte le udienze, ho ascoltato in silenzio e scritto sul mio diario tutte le domande che avrei voluto fare e che sono ancora in queste pagine, senza una risposta». Sono gli appunti di una donna che ha visto la sua vita fatta a pezzi e il suo uomo cadere lentamente «è fragile come non lo è mai stato. Non dorme, non sorride più. Per questo nonostante l’influenza e la febbre non ha chiesto la sospensione dell’udienza. Perché vuole che tutto finisca al più presto. Perché vuole tornare quello di prima. Vogliamo che ci venga restituita la nostra vita, la nostra quotidianità. Ma entrambi sappiamo che non sarà più come prima. Quello che stiamo subendo è impossibile da capire e sarà difficile da dimenticare».

Raniero Busco fu il primo ad essere sospettato vent’anni fa e venne scagionato per un alibi non trascritto ma che allora venne giudicato inattaccabile. Che fine hanno fatto le indagini condotte negli ultimi vent’anni? Dimenticate, come quella relazione di servizio che descrisse la scena del crimine. La camera in cui si verificò l’omicidio, stando a quelle pagine redatte la notte del 7 agosto del 1990, venne ripulita accuratamente. Almeno tre litri di sangue, disse l’autopsia, furono raccolti ed eliminati. Sparirono anche i vestiti di Simonetta Cesaroni. Il motivo, spiegarono gli investigatori, poteva essere uno solo: l’assassino aveva intenzione di far sparire il cadavere dall’ufficio degli Ostelli della Gioventù. Voleva allontanare le indagini e i sospetti da via Poma. Una preoccupazione che poteva avere solo chi abitava o lavorava in quel palazzo. Un condominio-alveare, a pochi passi da piazza Mazzini, con tre cortili interni, decine di garage e sottoscala, e un centinaio di appartamenti. Un labirinto dove l’assassino ha saputo muoversi senza farsi notare. Eppure contro Raniero Busco ci sono le prove scientifiche. Quelle sventolate da pm e periti della procura. «C’è una traccia biologica di Raniero Busco ritrovata sugli indumenti di Simonetta Cesaroni», ricorda Paolo Loria, legale dell’imputato, «ma i due erano fidanzati, e si erano visti anche la sera prima». Ci sarebbe il segno di un morso sul seno sinistro della vittima, lasciato in concomitanza con l’omicidio: «Intanto i nostri periti hanno dimostrato che potrebbe non trattarsi di un morso». Per questo la difesa di Raniero Busco ha chiesto e ottenuto di far acquisire agli atti il testo di un’intervista rilasciata nel novembre del 2004 da Ozrem Carella Prada, il medico legale che nel 1990 eseguì l’autopsia sul corpo di Simonetta, e oggi consulente dell’accusa.

Nell’articolo, alla domanda «Si è parlato anche di un morso sul seno sinistro di Simonetta», Carella Prada risponde: «fu una mia interpretazione, nulla di certo, in realtà potrebbe essersi trattato solo di un pizzico dato con le mani anche perché si sarebbero potuti eseguire i rilievi morfologici per identificare la dentatura di chi lo aveva lasciato ma ciò non fu possibile». Dimenticate anche queste dichiarazioni, come tutto il resto. Come le accuse mosse per vent’anni a un portiere che avrebbe scelto di suicidarsi tre giorni prima di testimoniare. «Nessuno si chiede, continua Loria, cosa ci faceva Pietrino Vanacore alle 8.30, all’ora di cena, al terzo piano di via Poma. Con un palazzo vuoto e un solo inquilino, Cesare Valle, al quinto piano. Perché passa davanti a quella porta aperta, perché entra in quell’appartamento, perché fa quelle telefonate… Dall’ascensore quella porta non è visibile, né aperta né chiusa, quindi Vanacore ci va a piedi, nonostante il mal di schiena, sotto terapia per un’artrosi… E fa tre piani a piedi per vedere che cosa? Fa la ronda sulle scale?». Nella sua arringa difensiva Paolo Loria darà le sue risposte a queste domande. Ma i dubbi resteranno, comunque. A partire dal movente.
Raffaella Fanelli
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