lunedì 31 gennaio 2011

Igor Patruno: "Una lunga catena di menzogne"

Il giorno in cui Simonetta Cesaroni è stata uccisa, a Roma faceva caldo, un caldo umido e soffocante perché nella mattinata aveva piovuto. Il giorno in cui il Pubblico Ministero ha chiesto l’ergastolo per il presunto colpevole dell’omicidio era una giornata d’inverno e nel cielo sopra l’aula bunker di Rebibbia si addensavano cumuli di nubi oscure, pur senza provocare alcun evento meteorologico di rilievo.
Un delitto sospeso nella pioggia. Quando siamo usciti dall’aula insieme a Cristiana, la cronista de Il Messaggero, siamo stati colpiti da un’anziana signora, amica della famiglia Busco, venuta ad assistere al processo. L’abbiamo riconosciuta come una delle testi che hanno “confermato” l’alibi dell’imputato. Le tremavano le mani mentre si portava alle labbra.
Ergastolo è un termine che fa paura anche quando aspetti che venga pronunciato da quasi un anno, anche quando hai tante volte tentato di immaginare l’effetto che ti farà sentirlo pronunciare.
La ricostruzione di Ilaria Calò è stata lunga e meticolosa. Un ragionamento iniziato prima di Natale e finito giusto dopo la Befana. In mezzo ci sono state le “feste”, ma le parole rimaste sospese si sono come allungate da un anno all’altro.
Ho seguito il processo a questo ragazzo di periferia, ormai uomo fatto, con due figli ed una moglie, Roberta, molto combattiva ed ho capito che c’è una distanza enorme tra la verità processuale e quella, reale e cruda, delle ultime ore di vita di Simonetta.
La lista”, l’ultimo romanzo di Michael Connelly, inizia così:

“La polizia mente. Gli avvocati mentono. I testimoni mentono. Mentono le vittime. Un processo è una gara di menzogne. In aula lo sanno tutti; lo sa il giudice, lo sanno i giurati. Entrano in tribunale consapevoli che verranno raccontate loro solo bugie. Prendono posto al banco e accettano di ascoltarle”.

In effetti l’accusa di mentire in questo processo è circolata ovunque. Ilaria Calò, il pubblico ministero, ha accusato le due testimoni che hanno confermato l’alibi di Raniero Busco di non aver detto la verità, ha lasciato capire che gli amici di Raniero hanno “edulcorato” la verità sul rapporto tra i due fidanzati per non aggravarne la posizione, ha accusato Busco di aver mentito su tutto. È il suo mestiere quello di far sì che la verità processuale si trasformi in “pena” per il colpevole e lei lo ha fatto bene.
Anche l’avvocato Lucio Molinaro ha accusato l’imputato di aver mentito. Anzi addirittura di averlo “strumentalizzato” per allontanare da lui l’attenzione delle indagini.
Dopo la sua arringa finale mi sono avvicinato e gli ho chiesto:
"Davvero Raniero Busco le ha chiesto nel 1990 di essere patrocinato contro la Polizia di Stato per le intimidazioni ed i maltrattamenti ricevuti nel corso degli interrogatori?"
"Sì te lo confermo!" Mi ha risposto Molinaro sicuro.
"Quando è avvenuto?" Ho chiesto ancora.
"A settembre del 1990. Busco mi raccontò di essere stato intimidito. Gli avrebbero mostrato le foto del corpo martoriato di Simonetta e gli avrebbero chiesto di confessare. Non solo! Mi ha anche informato di essere stato colpito nelle parti intime durante l’interrogatorio".
"E lei che ha fatto?"
"Ho informato Catalani, il magistrato che per primo seguì il caso e parlato con il capo della Mobile e con il titolare dell'indagine dott. Del Greco e ho chiesto che episodi del genere non si ripetessero".
"Perché ha affermato di essersi poi sentito strumentalizzato?"
"Quando è venuto fuori nel 2005 il nome di Busco, quando la Procura ha acceso i riflettori su di lui individuandone il DNA sul reggiseno e sul corpetto di Simonetta, ho capito che si era trattato di un gesto strumentale. Busco ha chiesto il mio patrocinio per avvalersi del mio ruolo di avvocato della famiglia, della mia autorevolezza di avvocato della parte offesa".

Insomma Lucio Molinaro è convinto che Busco, preoccupato per uno sviluppo delle indagini nei suoi confronti lo avrebbe coinvolto per avvalersi della sua posizione. Insomma, avrebbe pensato: “se mi difende l'avvocato della famiglia Cesaroni, anche la Polizia e il magistrato si convinceranno che non posso essere io il colpevole, che la la famiglia non mi ritiene coinvolto..."
Subito dopo ho chiesto a Raniero:
"E' vero che nel 1990 hai chiesto il patrocinio di Molinaro a causa dei maltrattamenti ed intimidazioni ricevute nel corso degli interrogatori?"
"Ma quando mai – mi ha risposto – assolutamente no! Nemmeno mi ricordavo di averci mai parlato nel 1990 e nemmeno dopo".
"Quindi tu neghi di aver richiesto a Lucio Molinaro di intervenire?"
"Si, assolutamente... Non ho mai fatto all'avvocato una simile richiesta".
Qualche udienza prima Antonio Del Greco, primo responsabile delle indagini sull’omicidio di Simonetta, non solo aveva negato di aver “maltrattato” l’imputato, ma anche di avergli mostrato le foto del corpo scempiato per indurlo a confessare. Anzi secondo lui quelle foto la notte dell’8 agosto ancora non c’erano.
Del Greco si è molto risentito per le accuse di aver maltrattato Raniero ed ha anche chiesto al pubblico ministero di valutare la possibilità di procedere contro di lui per diffamazione.
Dopo la sentenza il papà di Donatella Villani, l’amica del cuore di Simonetta ha dichiarato a Maurizio Gallo de Il Tempo di averle viste anche lui quelle foto la mattina dell’8 agosto.
Insomma sembra che le foto ci fossero anche perché nella questura Centrale di Roma, dove tutti i testimoni vennero invitati ad andare a deporre e dove Raniero Busco venne portato nella notte dopo essere stato prelevato dal posto di lavoro, c’era un laboratorio fotografico in grado di sviluppare e stampare il poche ore.
Almeno sulle foto Raniero Busco non ha mentito. Le foto c’erano!
Ma il problema di questo processo è un altro. Chi ha mentito durante le testimonianze in aula? E perché lo ha fatto? Cattiva memoria dopo i venti anni trascorsi? Rimozione di ricordi sgradevoli e pesanti? Oppure malafade?

di Igor Patruno
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