giovedì 10 marzo 2011

Carmelo Lavorino: "I punti salienti"

Riportiamo di seguito materiale che l'autore, il criminologo Carmelo Lavorino, ci ha gentilmente messo a disposizione.

I PUNTI SALIENTI DELLA SECONDA EDIZIONE DEL VOLUME DI CARMELO LAVORINO “IL DELITTO DI VIA POMA”, UN’ANALISI CRIMINALE METICOLOSA, TAGLIENTE ED ESAUSTIVA

Orario della morte
L’omicidio di Simonetta Cesaroni è avvenuto prima delle ore 16,30 e non dopo le 17,35. Ciò è deducibile dal calcolo dei fenomeni digestivi, dall’ultimo pasto di Simonetta terminato alle ore 14 circa, dalla sua quantità e qualità, dalla quantità di poltiglia alimentare rinvenuta nel cavo gastrico della vittima.

L’assassino ha colpito Simonetta con la mano sinistra L’assassino ha usato diverse volte la mano sinistra per colpire Simonetta, sia con la mano aperta a schiaffo sulla tempia destra, sia col tagliacarte al collo, sulla coscia ed all’inguine. Questo è deducibile dai tramiti e dalla morfologia delle ferite, particolarmente dalla ferita bifida sulla coscia destra.

Soggetto territoriale L’assassino ha dimostrato caratteristiche di conoscenza dei locali e dell’ambiente dell’ufficio dove lavorava Simonetta e del condominio di Via Poma. Si è mosso con accortezza, conoscenza, padronanza, sapienza, logica e freddezza, con tempo a disposizione.

Le asserite telefonate delle 17 e delle 17,35
sono il frutto di un’abilissima opera di depistaggio
La telefonata delle ore 17 da parte di una donna in Via Poma che diceva di essere Simonetta Cesaroni e diretta a Luigina Berrettini - se c’è stata realmente - non è stata effettuata da Simonetta, bensì da altra persona che si è spacciata per lei. Comunque non vi è alcuna prova che detta telefonata sia avvenuta, ebbene, (a) se la telefonata c’è stata, il significato è che una persona di sesso femminile si è spacciata per Simonetta con lo scopo di depistare, di fare spostare l’orario della morte, di rendere plausibili e non smontabili alcuni alibi che altrimenti sarebbero risultati falsi; (b) se la telefonata non c’è stata occorre andare a guardare i motivi della menzogna e il “cui prodest?”.

Telefonata fantasma a tre facce
La veridicità della telefonata che Luigina Berrettini ha fatto alle ore 17,15 alla dirigente Anita Baldi è basata solo sulle dichiarazioni di Luigina Berrettini, di Anita Baldi e del marito della Baldi (Salvatore Sibilia) deceduto nel 2007. I casi sono tre:
  1. la falsa Simonetta telefona alla Berrettini e la Berrettini telefona alla Baldi, allora la telefonata è vera; in tal caso la falsa Simonetta depista la Berrettini, per poi depistare il tutto;
  2. la Berrettini non ha ricevuto la telefonata, però telefona alla Baldi inventandola; in tal caso la Berrettini depista la Baldi e il Sibilia;
  3. la Berrettini non ha ricevuto alcuna telefonata, la Baldi non ha ricevuto alcuna telefonata; in tal caso la terna “Luigina Berrettini – Salvatore Sibilia – Anita Baldi” depista;
Ciascuno dei tre casi apre scenari, collegamenti, moventi, intenti primari, contesti, situazioni e circostanze speciali, specifici e nuovi: un groviglio che nessun inquirente ha districato perché non lo ha nemmeno preso in considerazione.

L’arma del delitto e la firma operativa dell’assassino L’assassino ha ucciso Simonetta Cesaroni col tagliacarte di Maria Luisa Sibilia, per poi lavarlo, pulirlo, asciugarlo e sistemarlo sul tavolinetto (étagère) di Maria Luisa Sibilia. La mattina dello stesso giorno il tagliacarte non era nella stanza della Sibilia, quindi era in altra stanza, però, dopo l’omicidio è “tornato” nella stanza d’appartenenza, anche se a pochi centimetri di distanza dal proprio luogo di allocazione (difatti, invece di essere posato sulla scrivania della Sibilia è stato posato sul tavolinetto accanto). Dichiarazioni di M.L. Sibilia: “Sulla mia scrivania usualmente c'era un tagliacarte di color metallico chiaro tipo argentato, munito di manico di metallo, più spesso della lama. La lama era lunga circa otto dita, la punta era lievemente smussata perché tale tagliacarte si usava anche per svitare viti o forzare un cassetto incastrato. Il tagliacarte era dritto prima che andassi in ferie il 27 luglio. Quando tornai, il 7 agosto 1990 cercai il tagliacarte perché mi serviva, ma non lo trovai né sulla mia scrivania, né sulle altre. Guardai nella mia stanza, in quella di Giusi Faustini e molto superficialmente in quella dove lavorava Simonetta. Il tagliacarte mi serviva per aprire la corrispondenza arretrata. Poi mi feci prestare il tagliacarte di Giusi che ha il manico rosso. Il tagliacarte raffigurato in fotografia al foglio 32 (NdA: la foto è riferita alla stanza di Maria Luisa Sibilia) degli atti della Polizia scientifica è quello che si trovava generalmente sulla mia scrivania … Nella foto al foglio 32 degli atti della Scientifica sul tavolinetto laterale della mia scrivania si vede il tagliacarte di cui ho parlato prima, posto sulla destra su un blocco notes con la scritta Mediolanum a fianco ad una spillatrice. Escludo che il tagliacarte sia stato lasciato in tale posizione da me proprio per quello che ho detto prima, poiché lo cercai senza trovarlo. Se si fosse trovato lì dove è fotografato l'avrei dovuto trovare. Questo almeno secondo i principi del buon senso”.

L’alterazione della scena dopo il depistaggio delle telefonate pomeridiane
La combinazione criminale che ha provveduto ad effettuare l’opera di pulizia, di alterazione della scena e di depistaggio, ha iniziato le attività dalle ore 17 circa SE la Berrettini ha ricevuto la telefonata e se la Baldi e il marito Sibilia hanno ricevuto la telefonata delle ore 17,15 circa, altrimenti detta opera è iniziata dopo, anche alle ore 20.

L’apodittico scenario con Busco assassino con sette pilastri d’argilla Lo scenario che vede Busco assassino è basato sui seguenti sette elementi/pilastri – ritenuti gravi, certi, precisi e concordanti – che in realtà sono incerti, solo ipotetici, non dimostrati e quindi discordanti: 1. la personalità violenta di Busco (?), difatti, Busco avrebbe litigato una volta con la propria sorella (!)?; quindi, essendo Busco violento, lo è stato anche con Simonetta: trattasi di ragionamento con presupposto falso, con un passaggio logico inaccettabile (petizione di principio), con dati non dimostrati, ma solo ipotetici; 2. Busco faceva soffrire Simonetta, quindi era cattivo, quindi poteva uccidere Simonetta in quel modo crudele, così come la stessa è stata uccisa: il passaggio logico è azzardato ed è privo di un valido indicatore di conclusione; 3. Simonetta è stata uccisa in un contesto a sfondo sessuale in seguito a una ferita narcisistica subita, Busco rientra in questa tipologia: teoricamente anche Busco avrebbe potuto avere il movente omicidiario, ma manca qualsiasi altro elemento forte; trattasi di supposizione apodittica; 4. Busco uccide Simonetta dopo le ore 17,35 e si allontana dall’epicentro del crimine lasciando aperta la porta dell’ufficio AIAG: trattasi di supposizione priva di riscontri, è apodittica; 5. Vanacore, dopo un periodo di tempo imprecisato, vede la porta aperta, entra, scopre il cadavere, mette in allarme i datori di lavoro di Simonetta nelle persone di Salvatore Volponi ed Ermanno Bizzocchi, i responsabili dell’ufficio Caracciolo e Carboni: trattasi di supposizioni prive di riscontri, tutte apodittiche e legate da congetture prive di riscontri; 6. Vanacore lascia la propria agendina rossa Lavazza sulla scena e il suo rinvenimento lo prova: in realtà non vi è nessuna prova che l’agendina rossa sia stata rinvenuta sulla scena, difatti, non è presente in alcuna fotografia e in alcun verbale, è stata presa in casa di Vanacore tra le altre cose e mischiata con gli effetti trovati nella borsetta della vittima; 7. sul capezzolo sinistro di Simonetta vi sono i segni di un morso che risultano compatibili con la dentatura di Busco; il reggiseno e il corpetto di Simonetta hanno tracce di Dna di Busco; sulla porta lato interno della stanza del crimine vi sono tracce del sangue di Simonetta e del sangue di Busco, quindi Busco è l’assassino: 1) non vi è prova alcuna che i due segni (uno alle ore 7, l’altro alle ore 11) siano effetti di morsicatura; 2) non vi è nessuna compatibilità fra la dentatura di Busco e i due segni; 3) se Busco avesse morso il capezzolo di Simonetta dovrebbero esserci altri segni prodotti dagli incisivi inferiori che invece non sono MAI stati presenti; 4) l’unica persona che aveva il “diritto” di avere il proprio Dna (saliva? sudore? altro?) sui due effetti personali di Simonetta era proprio e solo Busco; 5) il Dna estratto dal sangue sulla porta non è riferito alle 16 regioni alleliche o loci, ma solo a 8, e ognuno di essi contiene il Dna di 3, 4 o 5 persone; 6) la quaterna “2 calzini + 1 corpetto + 1 reggiseno di Simonetta” è stata conservata nell’obitorio senza alcuna garanzia della “catena di custodia della prova” per oltre 15 anni e non come reperti dalla Polizia scientifica e/o Ufficio Corpi di reato, quindi, con la possibilità di QUALUNQUE inquinamento o manomissione; 7) il sangue sulla porta frutto di commistione è di gruppo A, ma, poiché il gruppo sanguigno di Simonetta è gruppo 0 e quello di Busco è 0, mai e poi mai i due sangui di gruppo 0, se commisto, avrebbero dato gruppo A.



Il delitto di via Poma
Sulle tracce dell’assassino
Seconda edizione
Autore Carmelo Lavorino
www.detcrime.com
Editore Albatros
www.gruppoalbatrosilfilo.it
L’uccisione di Simonetta Cesaroni,
il processo contro Raniero Busco,
la morte di Pietrino Vanacore.
Analisi Investigativa Criminale.

La seconda edizione del volume è arricchita da dodici capitoli e 150 pagine: un capitolo è dedicato alla morte del famoso Pietrino Vanacore, con la valutazione se trattasi di omicidio o suicidio; quattro capitoli sono dedicati all’impianto accusatorio contro Raniero Busco con tutti i pro e i contro; due con le sintesi delle udienze dibattimentali del processo; cinque capitoli sono dedicati al profilo criminale logico esecutivo investigativo dell’assassino, all’arma del delitto, alla pista alternativa ed alle possibilità di risolvere il caso.

1 commento:

  1. l'assassino ha un profilo nettissimo. Era di casa nel palazzo in quanto vi abitava il nonno ed aveva lo studio il padre. Quindi gli stato facile farsi aprire la porta con un scusa dalla povera Simonetta che era sua coetanea. Nell'ambito familiare e delle conoscenze erano note le sue stranezze mentali ed in particolare il vizio di portare con sè coltelli di tutti i tipi. Un corpo lacerato da 29 coltellate rilascia una notevole quantità di sangue. Il portiere, opportunamente incaricato, ovviamente impiegò molto tempo a ripulire tanto che la moglie temporeggiò ad aprile l'ufficio con le chiavi di riserva proprio per dare tempo di far scomparire gli stracci usati. Giustificò il tempo perse fornendo un falso alibi che gli costò una incriminazione ed un periodo di carcere.

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