lunedì 7 marzo 2011

Igor Patruno: "Le tracce dell'assassino ci dicono..."

VIA POMA. “LE TRACCE DELL'ASSASSINO CI DICONO DI GUARDARE LADDOVE LA LOGICA, L'ANALISI CRIMINALE E LA SCIENZA CONTRO IL CRIMINE CI DICONO DI GUARDARE, DOVE CHI DOVEVA GUARDARE... NON HA GUARDATO E CONTINUA A NON GUARDARE!”


Conosco Carmelo Lavorino per averlo incontrato sia in alcuni programmi televisivi dedicati alla vicenda dell'omicidio di via Poma, sia nell'aula bunker di Rebibbia, dove si è tenuto il processo a Raniero Busco.
Come me, lui alla colpevolezza dell'ex fidanzato di Simonetta Cesaroni non ci ha mai creduto e in questi anni ha continuato a ragionare e ad indagare sul delitto con gli strumenti della sua professione, ovvero con gli strumenti del criminologo.
Lavorino ha da poco pubblicato la seconda edizione di un libro che si chiama: Il delitto di via Poma, sulle tracce dell'assassino. Una seconda edizione che è in realtà molto diversa dalla prima.
Come ha detto l'avvocato Nino Marazzita presentandolo: "Lavorino ha affinato la sua indagine, ha stretto il cerchio, ha individuato una pista che non è stata battuta come si sarebbe dovuto fare".
Comunque la si pensi, il libro del criminologo romano va letto perché le domande che pone aprono un vero e proprio squarcio su uno scenario inedito che varrebbe la pena approfondire. Riporto di seguito l'ultimo breve capitolo del libro, nel quale Lavorino sintetizza il senso del suo approccio e rilancia le sue domande.

Igor Patruno.

La vicenda di Via Poma contiene, oltre alla logica spietata e machiavellica dei personaggi delle trame di Agatha Christie e dei misteri a rizoma dei racconti di metafisica poliziesca di Edgar Allan Poe, anche le complicanze, le inestricabili assurdità piran­delliane, gli enigmi a più facce dei casi di Sherlock Holmes, la logica da giungla degli intrighi delle opere di Alfred Hitchcock, l'astuzia e la perfidia dei colpi bassi del gioco sporco, l'apparente insolubilità dei cold cases.
E in più c'è la presenza silenziosa, incombente e passiva del "convitato di pietra" Pietrino Vanacore, che sempre e comunque sovrasta e pervade ogni cosa.
L'impianto accusatorio contro Raniero Busco non regge, è basa­to su elementi incerti, improbabili, se non addirittura impossibili. Nemmeno regge che Busco sia l'assassino e sia fuggito lasciando la porta aperta, né regge che Vanacore sia passato per caso (ma come si fa a passare per caso al terzo piano di un palazzo quando è molto più semplice e logico usare l'ascensore?), abbia scoperto il corpo e avvisato i "compagni di merende" che suoi compagni non erano, o la "cricca" che con lui aveva ben poco da spartire.
Il processo a Raniero Busco non è che un piccolo segmento dell'enorme, ingarbugliata e complicata matassa di questo smi­surato intrigo. Tuttavia, potrà servire a far luce sul mistero di Via Poma se si inquadrerà in modo deciso e risoluto, senza com­promessi e false saccenterie, il buco nero dei silenzi e dei vuoti dell'AIAG, così come viene suggerito in questo libro e come vuole il "comune senso delle cose e della logica".
Il depistaggio, la messinscena, le alterazioni e le omissioni ci sono state: occorre decriptarle e sistemizzarle razionalmente, comprendere il cui prodest, chi aveva le caratteristiche di conoscenza, opportunità e capacità per attuarle.
Nulla esclude che ci si trovi di fronte alla congiura di palazzo contro l'usurpatrice, la spia o la traditrice, oppure l'estranea, ovvero la diversa, perché giovane, bella desiderabile e desiderata. O solo contro una ragazza che non si faceva mettere i piedi in testa. Una o più donne colpiscono, uno o più uomini depistano, uomini e donne fanno a gara ad alterare la scena, a manipolarla, a rassettarla. In diversi inquinano le indagini e distruggono le prove.
D'altro canto, nulla esclude che sia stato invece un uomo a colpire Simonetta sino a ucciderla, e che una donna abbia poi rassettato e pulito, e che più persone abbiano depistato. Un uomo respinto, deriso o soltanto voglioso, sicuramente frustrato e vendicativo.
Nulla toglie che il portiere Vanacore abbia potuto coprire qualcuno dopo le ore 20.00, ma questo punto dev'essere inserito nel giusto contesto e sistema di circostanze, situazioni, comportamenti, dinamiche e interrelazioni, non nel semplice scenario della "porta aperta" sostenuto dalla famosa "agendina fantasma".
Certo è che l'assassino è un territoriale ambientale dell'ufficio dove lavorava Simonetta, che l'assassino ha usato la mano sinistra per colpire la tempia di Simonetta per poi trafiggerla, che l'omicidio è avvenuto prima delle 16.30, che più persone hanno depistato le indagini e distrutto le prove, che la filiera delle quattro telefonate ne presenta almeno due che sono abili frutti del grande bluff, che vi sono stati almeno trenta grossi errori investigativi, che le considerazioni e le osservazioni sulla scena del crimine, sulla cronologia degli eventi e sul profilo criminale enunciate in questo libro devono essere valutate con scienza e coscienza, definite e sistemizzate anche con la logica giudiziaria.
Ed è essenziale trovare le risposte al duplice quesito, proprio perché la soluzione del giallo di Via Poma si gioca su questi due, aspetti:
1. Le quattro telefonate ci sono state realmente? Se sì, chi si è spacciata per Simonetta Cesaroni? Se sono state soltanto due, chi e perché mente? Se non ci sono state, come mai si è verificata tale filiera di menzogne?
2. Perché il tagliacarte è stato disposto sopra il tavolinetto accanto alla macchina da scrivere di Maria Luisa Sibilia, il posto dove avrebbe dovuto essere se… l'assassino non lo avesse usato per colpire Simonetta? Chi sapeva che il posto del tagliacarte era proprio la stanza di Maria Luisa Sibilia, ma non sapeva che era scomparso da quella stanza e che stava commettendo un errore nel rimetterlo al proprio posto?
Il caso di Via Poma può essere ancora risolto perché esistono tracce situazionali e di comportamenti tali da poter incastrare il soggetto ignoto e la sua “cricca” di abili depistatori, anche se qualcuno ha fatto sì che Simonetta Cesaroni non fosse altro che un'entità invisibile all'interno dell’AIAG in via Poma, “questa ragazza”, o la ragazza senza nome, che doveva essere obliata (tanto che l'appartamento venne ripulito da cima a fondo solo quattro giorni dopo il delitto), anche se sono stati commessi numerosi errori investigativi, metodologici, ideologici e procedurali.
Le tracce dell'assassino ci dicono di guardare laddove io ho guardato, dove il lettore mi ha seguito, dove la logica, l'analisi criminale e la scienza contro il crimine ci dicono di guardare, dove chi doveva guardare... non ha guardato e continua a non guardare!

Carmelo Lavorino

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