mercoledì 9 marzo 2011

La scienza dell’ultima ora

Colpito alla testa da un mestolo, disse il PM Corsi, e stato uno scarpone, replicò Paola Savio.
Infine nessuno sa con che cosa fu colpito Samuele Lorenzi ucciso nel 2002 nella camera da letto dei genitori.
Anche con Chiara Poggi sono state avanzate le ipotesi più svariate circa l’arma usata dall’assassino.
In entrambi i casi numerosissime lesioni, misurate e fotografate in ogni dettaglio, non hanno permesso di sapere quale fosse l’oggetto usato per colpire.
Questo nell’ultimo decennio che, al pari di tutti gli ultimi decenni di ogni epoca, viene sempre indicato dai profani come il più prodigo di progressi scientifici.
Forse non lo sanno i profani, ma gli uomini di scienza sanno bene che questo genere di esami non sono risolutivi e che al massimo consentono di fare ipotesi di grande approssimazione, oggi come 50 anni fa.

Cosi accadde anche per il delitto di via Poma, dove non una, ma 29 ferite misurate in lunghezza, larghezza e profondità, non consentirono di ricavare indicazioni certe sull’arma usata, persino rispetto ai tagliacarte repertati in quelle stanze e quindi a disposizione per un confronto.
Figuriamoci cosa si poteva pretendere da quella minuscola ferita al capezzolo, se non ipotizzare in termini assai vaghi che poteva trattarsi di un morso.
Carella Prada, che non è un profano e conosce i limiti della scienza, lo disse chiaramente nel 2004 quando affermò:” fu una mia interpretazione, nulla di certo, in realtà potrebbe essersi trattato solo di un pizzico dato con le mani…”.

Dunque una ipotesi che tale rimase anche durante le nuove indagini iniziate nel 2004, con i RIS impegnati a decifrare le tracce sui lavatoi, sull’ascensore, su un tavolino, sulla porta, e infine sugli indumenti di Simonetta.
Quattro anni di analisi e di relazioni peritali non risolutive.
A parte le tracce di Raniero su corpetto e reggiseno, null’altro indicherà che lui o altri sospettati erano in quella stanza.
Anzi, i rilievi sul tavolino e sul reperto dell’ascensore, conducono a persone diverse da Raniero e da tutti i 31 sospettati. La cosa è talmente nociva all’accusa che in base al noto postulato “lo dico io e basta!” si afferma la non contestualità di queste tracce all’omicidio.
Poi il pasticcio del sangue sulla porta, dove per contraddire le vecchie analisi che indicavano lo sgraditissimo gruppo sanguigno “A”, vengono rifatte con una nuova tecnica, più moderna …. una tecnica che amplifica il segnale… ma non accerta il gruppo sanguigno!
Saltano fuori dei dati, delle compatibilità parziali.
Qualcuno chiede che si pronunci un soggetto terzo.
Si pronuncia la Huidobro che definisce le analisi dei RIS inconcludenti.

I giudici non chiederanno mai più il parere di un soggetto terzo!

A fine 2008 i giornali danno per scontata l’archiviazione, ed è in quel momento che la Procura azzarda ciò che non aveva osato fare fino a quel momento. Viene così disposta una perizia per confrontare i segni del presunto morso con l’arcata dentaria di Raniero Busco. E Busco, pur potendosi rifiutare, si presta all'acquisizione dell'impronta dentaria.
Si fa uso di fotografie (bidimensionali) per il confronto con l'arcata (tridimensionale).

Il perito di parte dice che c’è piena corrispondenza. Quello della controparte l’esatto contrario.
Non c’è tempo per un parere imparziale, fosse anche del dentista della mutua, e così la più incredibile delle perizie diviene il pilastro portante dell’accusa.

Talvolta i profani sono saggi e non cedono alle lusinghe della scienza dell’ultima ora.
Altre volte, per timore di sentirsi dei profani, fingono di essere un po’ scienziati… e condannano a 24 anni.


Bruno Arnolfo

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