martedì 1 marzo 2011

Ricostruzione ipotetica del delitto Cesaroni - parte 1


PREMESSA

Nel dibattito che ha fatto seguito al verdetto di condanna di Raniero Busco, ha tenuto banco, principalmente, la questione dell’affidabilità probatoria delle perizie scientifiche.

L’opinione prevalente è stata che nel caso specifico non fosse possibile sostenere, al di la del fatidico “ragionevole dubbio”, la colpevolezza dell’imputato. Non sono mancate, tuttavia, tesi più ardite, di netto contrasto alle risultanze peritali, specie nel caso delle analisi condotte sul sangue rinvenuto sulla porta. Pure si è accennato al modo maldestro con cui sono stati conservati alcuni reperti, alludendo quindi alla possibilità di contaminazioni che possono aver falsato le stesse analisi.

Non essendo però ancora note le motivazioni della sentenza, è prematuro discutere sulla validità complessiva delle prove scientifiche prodotte in questo caso.

Pur dando per scontata una sostanziale adesione alle risultanze peritali dell’accusa, è lecito ritenere che il Giudice esporrà il suo convincimento circa la colpevolezza di Raniero Busco basandosi anche su altri elementi inerenti il delitto.

Ed è proprio nella ricostruzione dei fatti che hanno condotto al delitto e, in generale, a tutto quanto accaduto il 7 agosto 1990, che si celano le tante, tantissime evidenze che denunciano come incredibilmente assurda la tesi che vuole Raniero Busco colpevole.

Il Giudice di 1° grado, persuaso in buona fede che le analisi peritali fossero risolutive, è incorso nell’errore di trascurare la rilevanza di questi fatti, e forse la stessa difesa non è stata di aiuto, avendo pure essa dedicato maggiori attenzioni alle risultanze scientifiche piuttosto che alle dinamiche del delitto.

E’ fondamentale che il Giudice della Corte d’Appello non compia lo stesso errore, e quanto segue mira ad evitarlo.


La mattina del 7 agosto

Di tutti gli avvenimenti narrati su questa vicenda, quanto accadde quella mattina è stato curiosamente trascurato dalle parti.

Nella ricostruzione proposta dal pubblico ministero, le ore mattutine trascorse negli uffici della RELI s.a.s. sono unicamente funzionali a stabilire che quel pomeriggio Simonetta avrebbe lavorato da sola, questo perchè erano assenti i due tutor che si erano avvicendati per assistere Simonetta nel lavoro che svolgeva presso gli uffici Aiag di via Poma. Entrambi erano in vacanza e poiché Salvatore Volponi non poteva fare da terzo tutor per via dell’impegno in tabaccheria, risultava inevitabile che Simonetta avrebbe lavorato da sola.

Sappiamo quanto sia importante stabilire se Simonetta fosse sola quel giorno in via Poma e quindi non soltanto priva della compagnia del tutor, ma di qualsivoglia altro impiegato degli ostelli che avesse necessità di recarsi in ufficio quel giorno.

Solo la disponibilità dei locali in piena solitudine poteva infatti permettere alla Cesaroni di ospitare il fidanzato per l’incontro amoroso che, a detta dell’accusa, avvenne con Raniero Busco e sfociò poi nell’omicidio.

Si tratta a ben vedere di una questione della massima importanza, poiché se la certezza della totale solitudine pomeridiana di Simonetta consente di ipotizzare, ma non provare, l’arrivo di Raniero in via Poma, l’eventualità che fosse programmata una visita pomeridiana ci offrirebbe l’assoluta certezza dell’innocenza dell’imputato.

Infatti, un visitatore pomeridiano di cui Simonetta fosse a conoscenza non sarebbe soltanto di impedimento al preteso incontro con Raniero, ma diverrebbe anche il soggetto di cui sospettare del delitto.

Di quali elementi si dispone per accertare con sicurezza questo fatto?

In verità l’unica testimonianza di sicura affidabilità è rappresentata dalla madre di Simonetta Cesaroni, la signora Di Giambattista.

Le altre testimonianze dei soggetti appartenenti alla sfera lavorativa, che pure potrebbero essere utili in tal senso, vanno valutate con cautela, non potendosi escludere che vi possano essere una o più persone fra loro che hanno, o ebbero, timore di riferire quanto a loro conoscenza.
Un problema che ovviamente non riguarda la madre della vittima.

Dalla madre sappiamo che Simonetta le aveva confidato che quel pomeriggio sarebbe rimasta sola in ufficio, priva quindi dell’aiuto di Menicocci o Bizzochi, entrambi partiti per le vacanze.

Su questa dichiarazione della madre si impongono tuttavia tre importanti considerazioni:



  1. non è stato chiesto alla madre se la confidenza fattagli dalla figlia avvenne prima o dopo la telefonata che Simonetta ricevette durante il pranzo, perché se avvenne prima, ben poteva accadere che durante il colloquio telefonico venisse informata di un mutamento del programma che poi Simonetta non riferisce alla madre;
  2. il significato della parola “sola” come inteso da Simonetta poteva unicamente riguardare la questione dell’aiuto lavorativo (tutor) e non necessariamente il fatto che non erano previste visite di altri soggetti;
  3. nulla impedisce di pensare che Simonetta potesse anche non conoscere le reali decisioni dei suoi “superiori”, sicchè l’informazione circa la sua “solitudine” poteva anche essere funzionale ad intenzioni diverse da parte del suo datore di lavoro in accordo con il visitatore.
Stabilito quindi che le dichiarazioni della madre non conducono ad alcuna certezza riguardo al programma di lavoro pomeridiano, per ottenere conforto alla tesi accusatoria bisognerebbe per forza di cose credere a coloro che si sono detti ignari di qualsiasi presenza ulteriore in via Poma quel 7 agosto.

Abbiamo dunque Volponi e Bizzochi per la RELI sas e i numerosi impiegati AIAG, per non parlare dei vertici dell’organizzazione degli ostelli della gioventù.

Ora, sebbene si possa concedere a molti di questi (ma non sappiamo quali) di essere effettivamente in buona fede quando affermano di non essere a conoscenza di nulla, non può in assoluto escludersi che vi sia stata qualche reticenza.

E non si allude soltanto ai tanti sorprendenti “non ricordo” di cui abbondano le deposizioni processuali, ma soprattutto ad alcune affermazioni cruciali rese in aula.

Si presti attenzione a questo brano dell’interrogatorio della Berrettini reso in aula il 9.4.2010.
AVV. LORIA: quando Simonetta finiva il lavoro, come faceva a trasmetterlo?
DICH. BERRETTINI: lo lasciava... lasciava i tabulati sulla scrivania del Signor Carboni, nella stanza del Signor Carboni che era l'ultima stanza in fondo, dove è stata ritrovata Simonetta.
AVV. LORIA: e visto che Carboni è andato in ferie il 3 di agosto, a chi avrebbe dovuto consegnare il lavoro?
DICH. BERRETTINI: questo non lo so, non glielo so dire.
AVV. LORIA: non me lo sa dire.
DICH. BERRETTINI: ce lo siamo chiesti ma non...

Dunque il 7 agosto, assente Carboni - l’abituale destinatario dei tabulati – chi aveva il compito di acquisire i tabulati e magari portarli alla sede centrale?

Va ricordato che quella era l’ultima giornata lavorativa di Simonetta in via Poma, per cui è immaginabile che vi fosse necessità di avere certezza della chiusura del lavoro e della consegna del materale. Del resto è la Berrettini stessa a interrogarsi su chi avesse quel compito (“ce lo siamo chiesti”).

Incombenze, date le numerose assenze, a cui Volponi, o chi aveva responsabilità nell’ambiente AIAG, doveva pur rimediare.

Significativa al riguardo, la testimonia resa dallo stesso Volponi in udienza, ove afferma l’estrema importanza di chiudere senza intoppi il lavoro di contabilità, non mancando di alludere a sgradevoli rimproveri del committente Avv. Caracciolo di Sarno: “Si doveva finire questo lavoro altrimenti l'Avvocato ci avrebbe distrutti, strizzati...” (verbale del 12/11/2010).

Si prenda ora in considerazione l’ipotesi che il ritiro dei tabulati quello stesso pomeriggio, coincida con il visitatore che effettivamente uccise Simonetta.

Chiaramente costui, dopo un fatto del genere, aveva interesse a celare di aver avuto, o di essersi assunto, l’incarico di ritirare il materiale dall’ufficio.

Una “missione” non necessariamente “segreta”, che forse era nota a Simonetta e ad altre persone dell’ambiente di lavoro con cui fosse necessario concordare la sessione pomeridiana di lavoro.

Accordi che potrebbero anche riguardare Volponi e che in tal caso furono presi quella mattina in via Maggi, in quella trama caotica di visite programmate e poi disdette (Volponi che si offre e poi si nega), in cui potrebbe starci la disponibilità di un soggetto terzo a passare nell’ufficio di via Poma.

Così inquadrata la questione, è evidente che l’assunto “Simonetta lavorò da sola il 7 agosto” diviene un imperativo categorico a negazione di ogni possibile incontro per ritirare tabulati o per dare una mano sul lavoro.

Cosa è dunque più verosimile?

La tesi accusatoria che per forza di cose impone che quella mattina nessuno si curò di nulla. Né di assistere Simonetta, né di occuparsi del lavoro finito?

Oppure la tesi difensiva che narra di azioni logiche, del tutto naturali e funzionali al lavoro da ultimare, di verità che non ci appaiono con evidenza soltanto perché vi fu la tragica necessità di occultarle.



[Parte 2]

[Parte 3]

Bruno Arnolfo

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