mercoledì 30 marzo 2011

Il movente nascosto

Se il volto tumefatto di Simonetta fosse stato l’unico segno prodotto dall’assassino, sarebbe stato più facile per l’accusa disquisire del movente.
Un ceffone, uno svenimento, la testa sbattuta sul pavimento in un moto di rabbia o frustrazione, poteva rientrare in dinamiche aggressive abbastanza comuni, quasi sempre riconducibili alla sfera affettiva.
Un delitto passionale quindi, dove la causa scatenante (la goccia che fa traboccare il vaso) può imputarsi a circostanze fortuite (il morso?), ma in cui la vera causa è latente, e dimora nella relazione affettiva esistente fra la vittima e l’aggressore.
Un delitto passionale che certo poteva indiziare l’ex fidanzato della vittima.

Tuttavia molti dubitano che si sia trattato di un delitto passionale. L’azione successiva delle coltellate mostra, nella geografia dei colpi e nell’accanimento sulle parti intime, un profilo motivazionale di natura spiccatamente sessuale, non necessariamente attiguo alle relazioni affettive della vittima.
Un profilo di cui non si rintraccia la benché minima evidenza nell’imputato di questo processo.

A seconda dei contesti abbiamo quindi due moventi possibili: quello passionale e quello sessuale.
Ed è qui che salta all’occhio l’operazione svolta al processo dall’accusa.
Poiché sull’imputato non vi erano elementi per ipotizzare devianze di alcun tipo o anche soltanto l’attitudine nota a costumi sessuali inusuali, gioco forza è stato ripiegare sull’alternativa del movente passionale traendo spunto dal noto “materiale di repertorio”.
Ecco quindi che in omaggio alle ritualità processuali sono state “esibite a prova” le lettere di Simonetta e i famigerati precedenti violenti di Raniero.
Lo scenario passionale costruito intorno ai sentimenti feriti di Simonetta, alla disputa sulle vacanze e all’uomo che ragiona soltanto con le insalatiere e quello che si trova sotto la cintola.

Ma l’operazione più sottile con cui si è cercato di sfuggire al movente sessuale è stata quella di ipotizzare, a dispetto di tante evidenze contrarie, che Simonetta si fosse inizialmente difesa impugnando un tagliacarte, poi sottratto dall’assassino e quindi usato per lo scempio finale.
Facendo “scegliere l’arma” a Simonetta, si suggerisce infatti un uso casuale e non voluto, occorso in uno stato di foga (passione) e non di desiderio (sesso).

Se si vuol credere a tutto.

Bruno Arnolfo

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